ALITALIA

1947 ALITALIA, effettua il primo volo, Torino – Roma – Catania, con un Fiat G 12 E.

 

Alitalia stava per Aviolinee Italiane Internazionali.

 

Due mesi dopo c’è il primo volo internazionale: Roma – Oslo.

 

Il velivolo è un Savoia Marchetti S R 95, con 38 passeggeri.

 

Nel 1950 la prima hostess con divisa delle sorelle Fontana.

 

Aeromobile è un quadrimotore D C 4.

 

Vengono serviti, a bordo, i primi pasti caldi.

 

Alitalia è tra i vettori preferiti dalla clientela internazionale.

 

Nel 1957 nasce Alitalia, fondendosi con L A I (Linee Aeree Italiane);

 

la società ha 3000 dipendenti e 37 aeromobili.

 

1960 olimpiadi di Roma, Alitalia compagnia ufficiale dei giochi.

 

Apre l’aeroporto internazionale di Fiumicino.

 

1969-70 nuovo logo, A stilizzata, tricolore, sul timone; entrano in linea i Boeing 747

 

Conosciuti come jumbo, per la loro capacità di carico.

 

Nel 1980 – 82 c’è il rinnovo della flotta, entrano in linea gli Airbus A 300 e gli

 

M D 80 per il lungo raggio.

 

Nel 1990 – 91 nuovi trireattori M D 11 a lunga autonomia, fino a 12000 km.

 

2001 – 02 Alitalia fa parte accordo Sky Team, accordo di interscambio con altre società ( Air-France, Delta Airlines, Korean –Air Lines e Czech Air Lines).

 

Ma purtroppo i conti non vanno comunque bene.

 

Si parla di effettuare radicali mutamenti, che non approdano a nulla, anche per la forte opposizione sindacale, ma non solo.

 

Si succedono Amministratori Delegati, che aggravano i conti della società e vengono “sostituiti” con laute buonuscite milionarie: uno per tutti Cimoli.

 

Prende quota la possibilità di vendere la società.

 

Air-France è disponibile all’acquisto, compreso i debiti.

 

Ed è qui che entra in gioco la politica, ancora una volta, con il governo Berlusconi,

 

che vuole difendere l’italianità della compagnia di bandiera.

 

Quindi nel 2009 nasce C A I, Compagnia Aerea Italiana, che rileva Alitalia.

 

Ma non come avrebbe fatto Air-France, che avrebbe preso tutto, compreso i debiti.

 

CAI, dei così detti capitani coraggiosi, ha scelto fior da fiori!

 

I debiti se gli è accollati lo stato, cioè la collettività!

 

Nel gioco entra anche Banca Intesa, tramite Corrado Passera, fautore della soluzione italiana.

 

Auspica la fusione Alitalia – Air One, che porta in dote gli aeromobili, però adatti per il corto raggio.

 

Tale fusione, era auspicata da Banca Intesa, poiché AirOne era fortemente indebitata con la stessa e la fusione era l’unico modo per rientrare dai debiti; tradotto: Banca Intesa ha solo fatto i suoi interessi, scaricando i costi sulla collettività.

 

A supporto di tale operazione la politica, Berlusconi, concesse l’esclusiva della tratta Milano-Roma, la più remunerativa, con perno Linate, a scapito di Malpensa.

 

Con ciò vanificando gli ingenti investimenti effettuati su Malpensa, per farne un Hub internazionale.

 

Il fatto del monopolio Milano- Roma, ha “distolto” i capitani coraggiosi dal riassetto della compagnia.

 

Detto in parole povere, ma efficaci, hanno spremuto il limone, Alitalia, trascurando di rilanciarla per le lunghe rotte, quelle più redditizie.

 

Ed è così che arriviamo al 2015 e l’accordo con Etihad Airways, compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Uniti.

 

Ovviamente Etihad fa i suoi interessi, a dispetto dei politici italiani che volevano farci credere cha arrivava babbo natale carico di soldi.

 

Etihad pose delle pregiudiziali, prima di intervenire:

 

a)     Taglio del personale

 

b)    Niente debiti

 

c)     Concentramento , di fatto hub, a Fiumicino.

 

Ma non ostante ciò la cosa non ha funzionato, poiché i soldi, tanti, per rinnovare la flotta per il lungo raggio, Etihad non li ha messi ne’ tanto meno i capitani coraggiosi.

 

Così si è arrivati al classico cul de sac.

 

La compagnia propone di licenziare una fetta di personale, come sempre.

 

Ma questo non salverebbe la compagnia, al massimo allontanerebbe la resa finale.

 

 

 

CONFINDUSTRIA

La Confederazione Generale dell’Industria Italiana,

 

nota come Confindustria, nasce il 5 maggio 1910.

 

La prima sede era a Torino e solo nel 1919 si trasferì a Roma.

 

Confindustria nacque per sostenere e difendere gli interessi delle imprese associate.

 

Ma l’evoluzione della stessa è più complesso, rispetto al principio fondativo.

 

Infatti, già nel 1919, il suo presidente, Dante Ferraris, fu nominato ministro dell’industria nel governo Nitti.

 

Con l’avvento del fascismo, “aiutato” dagli industriali, dopo brevissimo periodo, si schierò, anima e corpo con esso.

 

Nel 1925, con il patto di palazzo Vidoni, Confindustria riconobbe, quale unico interlocutore, il sindacato fascista.

 

Nel 1926 cambiò nome e divenne: Confederazione Generale Fascista dell’Industria Italiana.

 

Addirittura nel suo logo apparve il fascio littorio. Durato fino al 1943.

 

Nel 1934 divenne Confederazione Fascista Industriali.

 

Giuseppe Volpi di Misurata ed Alberto Pirelli ne furono i fautori.

 

Tant’è che Pirelli dovette abbandonare la direzione dell’Azienda, nel dopo guerra.

 

Alla fine della guerra, Confindustria, era sempre invischiata con la politica.

 

Alcide De Gasperi, presidente del consiglio, definiva confindustria il quarto partito.

 

Nel 1958 fu istituito il ministero delle partecipazioni statali e l’Intersind, che trattava, con i sindacati, per le industrie IRI ed Efim.

 

Ciò ruppe, almeno apparentemente, la chiusura di Confindustria nei confronti sindacali.

 

Bisogna aspettare i primi anni settanta, dopo l’ondata di contestazioni generali, perché anche in confindustria si aprisse qualche squarcio di novità.

 

Il tutto incominciò con il così detto rapporto Pirelli, che apri, anche in confindustria , una certa democratizzazione e comunque un peso maggiore delle organizzazioni periferiche.

 

Con la presidenza Agnelli, si tentò di fare un patto fra produttori, contro la rendita, che si annidava anche in imprese associate a confindustria.

 

D’altronde, come sosteneva Guido Carli: la borghesia produttiva aveva scambiato la sua causa con la conservazione; rinunciando a introdurre elementi di liberalizzazione nel tessuto economico.

 

Continua, Carli: i ceti imprenditoriali volevano solo che lo stato gli aiutasse nei loro affari, senza mai identificarsi nelle istituzioni.

 

Esemplare il commento di Carlo Azeglio Ciampi, uscendo dalla assemblea annuale di confidustria, rispondendo ad un giornalista: sono proprio bravi questi industriali, bravi a dire cosa debbono fare gli altri, senza mai dire cosa dovrebbero fare loro.

 

Poi assecondarono Craxi, con il taglio della contingenza e la nave va con la Milano da bere.

 

Conseguenze, sparizione grandi industrie, che paghiamo tutt’ora.

 

Ultimo, solo in ordine di tempo, l’adesione sperticata al referendum renziano.

 

Commissionando al, suo, centro studi, una previsione farlocca, sulle conseguenze del no alla riforma.

 

Conseguenze smentite dal dopo referendum

 

Forse il presidente attuale, Vincenzo Boccia, doveva qualcosa alla politica per la sua elezione, dato che, ormai le industrie di stato, hanno un peso all’interno della struttura confindustriale.

 

Non sarebbe male se si tornasse alle origini, cioè la difesa degli associati.

 

Sarebbe un beneficio sia per i singoli che per l’intera economia.