CONFINDUSTRIA

CONFINDUSTRIA
Ogni anno la Confindustria tiene la sua assemblea che è, oggettivamente, un momento per fare il punto sulla situazione italiana, ovviamente dal punto di vista confindustriale.
La relazione è svolta dal presidente in carica.
L’attuale è il presidente Boccia-to.
E’ indubbio che c’è stata una svolta a 180 gradi, per dirla con un eufemismo.
Si può affermare che al netto delle contumelie sulle cose che non vanno e sulle richieste da fare agli “altri” la cosa clamorosa è stata una presa di distanza dal governo.
E’ stata una analisi impietosa sugli ultimi 20 anni di politica economica e dei sui fallimenti.
Ivi compresi i mille giorni del governo Renzi.
Ciò che ha detto il presidente Boccia è condivisibile, poiché, purtroppo corrisponde alla verità.
E’ indubbio che una posizione così netta fa bene alla politica, che dovrebbe muoversi di più e meglio, fa bene a chi “intralcia” le decisioni, fa bene anche agli industriali per migliorare loro stessi.
Rispetto a certi minuetti, esemplare D’Amato/Berlusconi, facevano a gara a chi aveva copiato la relazione programma.
Quindi venendo meno al ruoli di stimolo nei confronti della “politica”.
Ciò detto, occorreva, almeno un cenno, sulla questione de Il sole 24 ore, giornale della Confindustria.
Una situazione poco edificante, soprattutto per chi vuole assumere il ruolo di fustigatore dei costumi, altrui.
Che dire del dissesto delle banche che vedevano nomi di associati, sedere nei consigli di amministrazione e non hanno sentito il bisogno di chiedere, almeno, scusa ai risparmiatori turlupinati.
Che dire delle fughe di capitali che hanno impoverito il Paese, ove hanno accumulato le ricchezze dileguate.
Che dire di Importanti aziende che, dopo aver, abbondantemente, condizionato la politica economica italiana, hanno salutato andandosene via.
Che dire di fior di imprenditori, che anziché “rischiare”, si rifugiano nella rendita, come gestori di cose fatte dagli altri.
Che dire del comportamento, sotto la sua presidenza, del supporto dato a Renzi in occasione del referendum costituzionale.
E’ una scelta, opinabile, ma legittima.
Ma perché compromettere la credibilità dell’ufficio studi di Confindustria, in cui si affermava che se vinceva il no, si sarebbero abbattute, sull’Italia, le sette piaghe bibliche.
Perché non prendere atto che ormai, in Confindustria, le imprese pubbliche hanno un peso preponderante.
Perché non dire che vi è un certo che di commistione, l’ex presidente Emma Marcegaglia, nominata presidente ENI.
Perché non dire che Ella Signor Presidente è stato “appoggiato” dalle imprese pubbliche e che tale peso è stato determinante, per prevalere sull’altro concorrente, anche se per pochi voti.
Perché fare ancora richiesta di incentivi per le assunzioni, a pioggia, che non hanno sortito gli effetti annunciati sulla occupazione e di fatto si sono trasformate in un incentivo utile solo alle imprese.
Per queste ragioni signor Presidente Boccia-to, non ha convinto.

p.s.
Qualche giorno dopo l’assemblea, a seguito delle pressioni giornalistiche, sul caso 24 ore, si è fatto intervistare da Minoli, di radio 24, di Confindustria, che ha una rubrica su La 7.
Boccia-to, ha sostenuto che sapeva del dissesto del giornale, ma che per salvaguardare l’occupazione ha aspettato.
Ai capito!

ECONOMIA & RICERCA

ECONOMIA & RICERCA
Binomio non scindibile, almeno per una economia d’avanguardia.
Tutte le discussioni, fatte dai politici e non solo, si focalizzano solo sugli ultimi anni.
Partendo dalla esplosione della bolla dei sub-prime, negli Stati Uniti d’America.
Che certamente ha le sue belle responsabilità.
Ma la situazione economica italiana ha radici più profonde.
Occorre andare indietro di una ventina di anni per analizzare le debolezze strutturali della nostra economia, che la crisi finanziaria ne ha moltiplicato gli effetti.
Qualche dato per suffragare questa tesi:
dall’ anno 2000 ad oggi il Pil italiano è rimasto invariato, fermo.
Nello stesso periodo:
Spagna + 27%
Germania + 21%
Francia + 20%.
Il nostro reddito, per abitante, è inchiodato, è pari, all’anno 1998.
Una delle cause, se non la causa, è dovuta alla scarsa ricerca.
Prima la Gelmini e poi Renzi ci hanno raccontato che la quantità di finanziamenti per l’università era pari alla media europea.
All’epoca della Gelmini, il 2009, dati Eurostat, dicevano che la spesa per l’istruzione terziaria, in Italia non raggiungeva lo 0,7 % del Pil, contro una media europea di circa il doppio.
Dal 2010, l’Italia, ha tagliato del 20% il budget del finanziamento universitario.
In Germania la spesa, dal 2005, è aumentata del 60%, da 9 miliardi di € a 14,4 miliardi di € nel 2013.
Sempre in Germania è prosperata la ricerca industriale ormai vicina al 3% del Pil, obiettivo concordato a livello europeo, quindi anche l’Italia dovrebbe tendere a quanto concordato, anche se è da raggiungere nel 2020.
Ma di questo passo e arduo.
Nell’area della Germania, che regge la competitività, si spendono 635dollari/abitante in istruzione terziaria;
area anglo-francese 489 dollari;
area mediterranea 340 dollari;
area orientale 202 dollari.
Ciò significa che nell’area della Germania si investono 162 miliardi dollari/anno per ricerca e sviluppo; il 53% in più dell’area anglo-francese e addirittura il 245% in più dell’area mediterranea.
Questo si traduce in una produzione, per la Germania, di beni e servizi di alta tecnologia ed elevata capacità di innovazione.
Infatti nell’area tedesca si producono 2,4 volte più brevetti dell’area anglo-francese ed, addirittura 5,4 volte in più che nell’area mediterranea.
E’ evidente che all’Italia resta solo la competitività da costo.
Quindi si scaricano sui lavoratori, attraverso taglio salariale e diritti, per fare concorrenza.
Non è un caso che sia circolato una pubblicità ministeriale che per invogliare gli investimenti esteri, citava il costo inferiore del lavoro.
Come la Cina e l’Africa.
E’ chiaro che lo sforzo, per non arretrare ulteriormente, è enorme e solo lo stato è in grado di affrontare tale sfida.
Di conseguenza le poche risorse a disposizione dovrebbero essere finalizzate in quella direzione, per avere effetti duraturi nel tempo e no illudendo i cittadini con le mance elettorali.