ECONOMIA & RICERCA

ECONOMIA & RICERCA
Binomio non scindibile, almeno per una economia d’avanguardia.
Tutte le discussioni, fatte dai politici e non solo, si focalizzano solo sugli ultimi anni.
Partendo dalla esplosione della bolla dei sub-prime, negli Stati Uniti d’America.
Che certamente ha le sue belle responsabilità.
Ma la situazione economica italiana ha radici più profonde.
Occorre andare indietro di una ventina di anni per analizzare le debolezze strutturali della nostra economia, che la crisi finanziaria ne ha moltiplicato gli effetti.
Qualche dato per suffragare questa tesi:
dall’ anno 2000 ad oggi il Pil italiano è rimasto invariato, fermo.
Nello stesso periodo:
Spagna + 27%
Germania + 21%
Francia + 20%.
Il nostro reddito, per abitante, è inchiodato, è pari, all’anno 1998.
Una delle cause, se non la causa, è dovuta alla scarsa ricerca.
Prima la Gelmini e poi Renzi ci hanno raccontato che la quantità di finanziamenti per l’università era pari alla media europea.
All’epoca della Gelmini, il 2009, dati Eurostat, dicevano che la spesa per l’istruzione terziaria, in Italia non raggiungeva lo 0,7 % del Pil, contro una media europea di circa il doppio.
Dal 2010, l’Italia, ha tagliato del 20% il budget del finanziamento universitario.
In Germania la spesa, dal 2005, è aumentata del 60%, da 9 miliardi di € a 14,4 miliardi di € nel 2013.
Sempre in Germania è prosperata la ricerca industriale ormai vicina al 3% del Pil, obiettivo concordato a livello europeo, quindi anche l’Italia dovrebbe tendere a quanto concordato, anche se è da raggiungere nel 2020.
Ma di questo passo e arduo.
Nell’area della Germania, che regge la competitività, si spendono 635dollari/abitante in istruzione terziaria;
area anglo-francese 489 dollari;
area mediterranea 340 dollari;
area orientale 202 dollari.
Ciò significa che nell’area della Germania si investono 162 miliardi dollari/anno per ricerca e sviluppo; il 53% in più dell’area anglo-francese e addirittura il 245% in più dell’area mediterranea.
Questo si traduce in una produzione, per la Germania, di beni e servizi di alta tecnologia ed elevata capacità di innovazione.
Infatti nell’area tedesca si producono 2,4 volte più brevetti dell’area anglo-francese ed, addirittura 5,4 volte in più che nell’area mediterranea.
E’ evidente che all’Italia resta solo la competitività da costo.
Quindi si scaricano sui lavoratori, attraverso taglio salariale e diritti, per fare concorrenza.
Non è un caso che sia circolato una pubblicità ministeriale che per invogliare gli investimenti esteri, citava il costo inferiore del lavoro.
Come la Cina e l’Africa.
E’ chiaro che lo sforzo, per non arretrare ulteriormente, è enorme e solo lo stato è in grado di affrontare tale sfida.
Di conseguenza le poche risorse a disposizione dovrebbero essere finalizzate in quella direzione, per avere effetti duraturi nel tempo e no illudendo i cittadini con le mance elettorali.

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