A U T O S T R A D E

A U T O S T R A D E
Nel 1999 i Benetton acquisirono il 60% delle rete autostradale a pedaggio.
Cioè acquistarono la società Autostrade Spa, azienda IRI, che aveva costruito il sistema autostradale in Italia.
Esemplare fu la costruzione di Autostrada del sole, la n° 1, per lo stradario.
Certamente, per i tempi ed i modi di costruzione, è una opera valida ancora oggi.
Con il pagamento del pedaggio, Autostrade Spa, ebbe risorse per sviluppare, ulteriormente, la rete autostradale.
Così da autofinanziarsi e non costare all’erario.
Anzi, avendo pagato anche gli ammortamenti, era una società, non solo in equilibrio, ma addirittura di produrre profitto.
Ma in quel periodo c’era bisogno di fare cassa e fu giocoforza che si vendessero i pezzi appetibili.
Fu così che i Benetton comprarono la società, che chiamarono Autostrade per l’Italia.
Va ricordato che fondarono una società a cui riversarono i debiti, contratti per l’acquisto, in modo da “salvare” la altre società, di loro proprietà.
Inoltre ebbero una concessione molto lunga ed un formula di rivalutazione annuale delle tariffe di pedaggio, molto vantaggiosa.
Per il calcolo degli aumenti si tiene conto anche degli investimenti effettuati.
Benetton diffonde il sistema di riscossione automatica del pedaggio con la società Telepass.
Società che gestisce le riscossioni anche per le altre concessionarie.
E’ ovvio che la riscossione automatica, comporta una diminuzione degli addetti ai caselli.
Quindi non era un investimento teso al miglioramento viabilistico, ma serviva e serve solo a far risparmiare, guadagnare, ai gestori.
Se così è, perché dobbiamo pagarlo due volte?
La prima con l’aumento delle tariffe e la seconda con il contratto per la installazione dell’apparecchi, in auto, per la rilevazione dei passaggi.
Per le transazioni, Telepass si appoggia al circuito bancario o delle carte di credito.
Ora è successo che per motivi, (?), Banca Intesa ha rotti i rapporti commerciali con Carta Si.
Di conseguenza tutte le carte sono state sostituite.
Quindi Telepass, scrive ai clienti e gli “invita”, i clienti, a recarsi al punto blu, per consegnare l’apparato rilevatore, pena penale prevista, dato che è in uso all’utente.
A nulla sono valse le telefonate al numero verde, pregandoli di prendere nota del numero della nuova carta di credito.
Niente da fare, Telepass è inflessibile.
Il numero di clienti, incappati in questo fatto, è di circa 5.600, pari al 20% dei casi di disdetta.
La domanda, semplice è:
Telepass, controllata da Atlantia, controllata da Edizioni, posseduta in parti uguali dai 4 Benetton;
non poteva metter in atto una procedura che gestisse tale questione e non creare disguidi ai suoi clienti?
Invece di comportarsi da monopolista arrogante!
Anche perché la gestione delle piste riservate, ai clienti Telepass, costa 67 milioni, contro un incasso di 158 milioni.
Telepass è valutata, nel bilancio Atlantia 1,148 miliardi, sette volte il fatturato.
L’arcano è: la società fattura “solo” 158 milioni ma ha un margine di 91 milioni, pari a quasi li 60%.
Un bel gioiello!
Meglio una gallina dalle uova d’oro.
Qualcuno potrebbe chiedersi perché i 67 milioni, per la gestione delle corsie, visto il risparmio di personale, non viene girato, alla controllante?
Che incassa 3,8 miliardi di incasso da pedaggio ed ha un utile netto pari a 930 milioni?
Meglio vivere di rendita che fare maglioncini!
Ma la causa di fondo, la “colpa “ genetica di questa situazione è originata dal sistema del conteggio per l’adeguamento delle tariffe: oscuro, macchinoso e poco chiaro.
Fatto di conteggi “astrusi” ed intellegibili, del tipo il calcolo per l’aumento dei carburanti.
Ovvio che tali conteggi favoriscono i “gestori” e tutelano poco gli utenti.
Se il controllore, l’Anas, trae un introito maggiore, con l’aumento delle tariffe, è altrettanto ovvio che non ha interesse a calmierarle.
A questo contorto sistema, si aggiungono i “pasticci” combinati dalla politica.
Esemplare il blocco delle tariffe attuate nel 2014 dal ministro Lupi.
Per fare propaganda sostenne che ha fronte della stagnazione, le tariffe non andavano aumentate.
Anziché fare una operazione trasparente, eliminando, dall’aumento, l’inflazione che era ferma.
Sarebbe stato legale, trasparente, inattaccabile.
Lupi “scivolo” sullo scandalo grandi lavori, ed arrivò Del Rio.
Che combinò un ulteriore pasticcio.
Fece un accordo con Benetton, allungando di 4 anni le concessioni, in cambio della costruzione delle autostrade, chiamate “Gronda di Genova”.
Il valore dell’allungamento della concessione vale 15 miliardi di €, 4 volte di più della gronda di Genova.
Idem per Gavio, concessionario di tutte le autostrade del nord-ovest; (TO-MI, TO-SV ed altre).
Benetton e Gavio, sono i maggiori concessionari.
Toto, ex Air-One, concessionario delle autostrade dei parchi ( Roma-Pescara e Roma Teramo), il più piccolo restò a bocca asciutta.
Quindi si può ben dire che Del Rio si comportò da forte, col debole (Toto) e debole con i forti (Benetton e Gavio).
Ma Toto non ci sta ed impugna, il blocco, al Tribunale Amministrativo del Lazio.
Che dà ragione a Toto ed impone di pagare anche gli arretrati!
Inoltre, il Tribunale, ravvede anche un danno erariale, in quanto al mancato aumento che avrebbe comportato un incremento delle entrate .
La sentenza innesca la possibilità che anche gli altri, concessionari, possano far valere il diritto di “recuperare” i mancati aumenti.
Ora, come sempre, pare che a pagare per questo pasticcio, sia solo il dirigente ministeriale titolare della vigilanza sulle concessioni.
La politica, i politici, non pagano mai!
Tanto l’aumento lo paga sempre pantalone!

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