M U N I C I P A L I Z Z A T E

Ovvero le aziende comunali che erogano i servizi, propri dei comuni, per cui paghiamo le tasse.
Quindi lo scopo di dette società è, per l’appunto, la fornitura del servizio.
Orbene da un po’ di anni è avvenuto un mutamento genetico delle municipalizzate.
Il mutamento è avvenuto con l’unione di più società comunali, soprattutto dei grandi comuni, così sono diventate dei “giganti” finanziari, quotate in borsa e le chiamano multiutility, è più fico di multiservizi; forse per far dimenticare che devono, dovrebbero, erogare servizi.
Solo a mo’ d’esempio e solo le più grandi.
– Roma:
Ama = raccolta e smaltimento rifiuti urbani
Atac = trasporti urbani (metrò, tram, bus)
Acea = erogazione acqua ed energia elettrica

– A 2 A inizialmente fusione tra Milano e Brescia (ora copre una buona fetta di Lombardia).
– Hera > Bologna, Modena, Ravenna, Rimini, Padova e Trieste.
– Iren > Torino, Genova, Reggio nell’ Emilia, Parma.
Queste, come si diceva, sono le più grandi, quotate in borsa, ed hanno una pletora di controllate:
Acea- 33, A2A- 43, Hera- 38, Iren 27.
Sono dei veri e propri giganti, sia pe fatturato che pe numero dipendenti:
A2A dip. 12.000, fatt. 4,7 mld utile netto 173 mln;
Acea dip. 7.000, fatt. 5,2 mld utile netto 570 mln;
Hera dip 8.300, fatt. 4,0 mld utile netto 670 mln
Iren dip. 4.500, fatt. 4,6 mld, utile netto 350 mln.
Come si può dedurre ci si trova di fronte a cifre importanti e fanno gola ai privati, che spingono verso una ulteriore “privatizzazione”.
Ovviamente questi campioni del privato, intendono privatizzare i profitti, non effettuare manutenzione o nuovi investimenti e quando il “limone” è ben spremuto e non dà più succo-profitti- lo si restituisce al pubblico, che effettua gli investimenti, risana e riporta la società in economia, così e pronta per essere ri-privatizzata.
Così ricomincia il ciclo. Non male. Il grande Totò avrebbe detto: a me l’idea piace.
Purtroppo nemmeno la gestione pubblica brilla.
E’ più attenta all’andamento di borsa che alla soddisfazione degli utenti cittadini.
Esemplare il caso dell’Iren, ove Fassino, prima delle elezioni, perse, ha nominato alla presidenza, un uomo di finanza, detto indebitator, in quanto da assessore al comune di Torino, ha sottoscritto contratti, per l’amministrazione, di pericolosi derivati.
Quindi non una persona che si intendesse di energia, rifiuti, ambiente come sarebbe normale.
Singolare il caso di Genova, ove spesso le strade vengono allagate per lo scoppio dei tubi dell’acqua. L’amministratore, di Iren, fa voli pindarici, per non dire che i tubi scoppiano perché privi di normale manutenzione.
Stessa cosa a Firenze.
Basti citare il crollo del Lungarno vicino a Ponte Vecchio e gli Uffizi, crollo dovuto alle perdite dell’acquedotto, gestito da Publiacque, società ove sono transitati, come amministratori quasi tutto il giglio magico di Renzi.
Anche in Emilia il gigantismo di Hera, incomincia a non piacere più.
Diversi sindaci incominciano a valutare il distacco da Hera.
Anche perché vi sono studi che è possibile fare la massa utile ai fini delle economie di scala per servire un bacino di 150-180.000 utenti.
A Roma le cose sono anche più complicate.
Ama, l’azienda per i rifiuti, con circa 8.000 dip., è stata usta più per fare clientele che per pulire le strade (Alemanno, sindaco, in 4 anni ha assunto oltre 1.000 persone, su un organico già ridondante).
I rifiuti venivano “consegnati” ad un privato, ovviamente dietro pagamento, che la accumulava a Malagrotta-discarica.
Marino, sindaco, ha chiuso Malagrotta, anche perché lo imponeva l’Europa, senza, però, creare, prima, un alternativa.
Così le immondizie sono rimaste nelle strade di Roma!
In Acea, Azienda Comunale Elettricità Acqua- fondata nel 1909, le cose non vanno meglio.
Il comune, pur avendo la maggioranza delle azioni, il 51%, di fatto lascia gestire al privato, la politica si accontenta del sottobosco clientelare.
Francesco Gaetano Caltagirone, costruttore e proprietario de Il Messagero, il più grande giornale di Roma, con il 16%, era il”cartaro”.
Con l’elezione della Raggi, prevedendo che le cose cambiavano, ha venduto una quota delle sue azioni a SUEZ (gruppo francese), già azionista Acea.
Ma Acea, con la miscela Caltagirone-politica ha ridotto la società ad un eldorado straccione.
Acea non è in grado di far pagare in maniera chiara e corretta i consumi di acqua e elettricità.
Le così dette bollette pazze, poiché si emettevano bollette per sei mesi o addirittura per un anno.
La rilevazione è affidata ad una società, vicina alla politica, e non riesce a dialogare con la società che emette materialmente le bollette.
La ciliegina è che c’è una società di call center per chiedere lumi sulle bollette. Tale società si chiama E-care ed è di Alfio Marchini, candidato sindaco a Roma.
Così hanno fatto filotto!!
Come emerge le colpe maggiori sono in capo alla politica, in quanto deve dettare delle regole, che abbiano al centro il fabbisogno dei cittadini utenti, non altro.
Non è tabù che i servizi possano essere gestiti da privati.
L’importante è che sempre gli interessi della comunità, non venga sacrificato al profitto.

M U N I C I P A L I Z Z A T E
Ovvero le aziende comunali che erogano i servizi, propri dei comuni, per cui paghiamo le tasse.
Quindi lo scopo di dette società è, per l’appunto, la fornitura del servizio.
Orbene da un po’ di anni è avvenuto un mutamento genetico delle municipalizzate.
Il mutamento è avvenuto con l’unione di più società comunali, soprattutto dei grandi comuni, così sono diventate dei “giganti” finanziari, quotate in borsa e le chiamano multiutility, è più fico di multiservizi; forse per far dimenticare che devono, dovrebbero, erogare servizi.
Solo a mo’ d’esempio e solo le più grandi.
– Roma:
Ama = raccolta e smaltimento rifiuti urbani
Atac = trasporti urbani (metrò, tram, bus)
Acea = erogazione acqua ed energia elettrica

– A 2 A inizialmente fusione tra Milano e Brescia (ora copre una buona fetta di Lombardia).
– Hera > Bologna, Modena, Ravenna, Rimini, Padova e Trieste.
– Iren > Torino, Genova, Reggio nell’ Emilia, Parma.
Queste, come si diceva, sono le più grandi, quotate in borsa, ed hanno una pletora di controllate:
Acea- 33, A2A- 43, Hera- 38, Iren 27.
Sono dei veri e propri giganti, sia pe fatturato che pe numero dipendenti:
A2A dip. 12.000, fatt. 4,7 mld utile netto 173 mln;
Acea dip. 7.000, fatt. 5,2 mld utile netto 570 mln;
Hera dip 8.300, fatt. 4,0 mld utile netto 670 mln
Iren dip. 4.500, fatt. 4,6 mld, utile netto 350 mln.
Come si può dedurre ci si trova di fronte a cifre importanti e fanno gola ai privati, che spingono verso una ulteriore “privatizzazione”.
Ovviamente questi campioni del privato, intendono privatizzare i profitti, non effettuare manutenzione o nuovi investimenti e quando il “limone” è ben spremuto e non dà più succo-profitti- lo si restituisce al pubblico, che effettua gli investimenti, risana e riporta la società in economia, così e pronta per essere ri-privatizzata.
Così ricomincia il ciclo. Non male. Il grande Totò avrebbe detto: a me l’idea piace.
Purtroppo nemmeno la gestione pubblica brilla.
E’ più attenta all’andamento di borsa che alla soddisfazione degli utenti cittadini.
Esemplare il caso dell’Iren, ove Fassino, prima delle elezioni, perse, ha nominato alla presidenza, un uomo di finanza, detto indebitator, in quanto da assessore al comune di Torino, ha sottoscritto contratti, per l’amministrazione, di pericolosi derivati.
Quindi non una persona che si intendesse di energia, rifiuti, ambiente come sarebbe normale.
Singolare il caso di Genova, ove spesso le strade vengono allagate per lo scoppio dei tubi dell’acqua. L’amministratore, di Iren, fa voli pindarici, per non dire che i tubi scoppiano perché privi di normale manutenzione.
Stessa cosa a Firenze.
Basti citare il crollo del Lungarno vicino a Ponte Vecchio e gli Uffizi, crollo dovuto alle perdite dell’acquedotto, gestito da Publiacque, società ove sono transitati, come amministratori quasi tutto il giglio magico di Renzi.
Anche in Emilia il gigantismo di Hera, incomincia a non piacere più.
Diversi sindaci incominciano a valutare il distacco da Hera.
Anche perché vi sono studi che è possibile fare la massa utile ai fini delle economie di scala per servire un bacino di 150-180.000 utenti.
A Roma le cose sono anche più complicate.
Ama, l’azienda per i rifiuti, con circa 8.000 dip., è stata usta più per fare clientele che per pulire le strade (Alemanno, sindaco, in 4 anni ha assunto oltre 1.000 persone, su un organico già ridondante).
I rifiuti venivano “consegnati” ad un privato, ovviamente dietro pagamento, che la accumulava a Malagrotta-discarica.
Marino, sindaco, ha chiuso Malagrotta, anche perché lo imponeva l’Europa, senza, però, creare, prima, un alternativa.
Così le immondizie sono rimaste nelle strade di Roma!
In Acea, Azienda Comunale Elettricità Acqua- fondata nel 1909, le cose non vanno meglio.
Il comune, pur avendo la maggioranza delle azioni, il 51%, di fatto lascia gestire al privato, la politica si accontenta del sottobosco clientelare.
Francesco Gaetano Caltagirone, costruttore e proprietario de Il Messagero, il più grande giornale di Roma, con il 16%, era il”cartaro”.
Con l’elezione della Raggi, prevedendo che le cose cambiavano, ha venduto una quota delle sue azioni a SUEZ (gruppo francese), già azionista Acea.
Ma Acea, con la miscela Caltagirone-politica ha ridotto la società ad un eldorado straccione.
Acea non è in grado di far pagare in maniera chiara e corretta i consumi di acqua e elettricità.
Le così dette bollette pazze, poiché si emettevano bollette per sei mesi o addirittura per un anno.
La rilevazione è affidata ad una società, vicina alla politica, e non riesce a dialogare con la società che emette materialmente le bollette.
La ciliegina è che c’è una società di call center per chiedere lumi sulle bollette. Tale società si chiama E-care ed è di Alfio Marchini, candidato sindaco a Roma.
Così hanno fatto filotto!!
Come emerge le colpe maggiori sono in capo alla politica, in quanto deve dettare delle regole, che abbiano al centro il fabbisogno dei cittadini utenti, non altro.
Non è tabù che i servizi possano essere gestiti da privati.
L’importante è che sempre gli interessi della comunità, non venga sacrificato al profitto.

FIAT


Acronimo di:  Fabbrica  Italiana  Automobili  – Torino poi FIAT.

 

Nasce nel 1901, appunto, a Torino, per volontà di diversi soci. Successivamente, per varie ragioni Giovanni Agnelli, il nonno del famoso “avvocato” come veniva chiamato; estromise i soci e ne divenne il socio unico – il padrone.

 

Dalle officine di corso Marconi uscirono le prime automobili, che sembravano delle carrozze senza cavalli. Ma questo era un tratto di tutti i produttori di auto.

 

Il primo, significativo, sviluppo avvenne con l’avvento del primo conflitto mondiale – 1915-1918.

 

Altro sviluppo, fu determinato, dall’avventura d’Africa, per la costruzione dell’impero di mussoliniana memoria.

 

Come si vede le positive sorti della Fiat furono, sin dagli albori, legate alle forniture militari, quindi statali. Anche se già allora si predicava meno stato e più mercato e per Confindustria sembra che il tempo non sia passato.

 

Giovanni Agnelli, indossò il cappello con l’aquilotto e divenne senatore del regno; ed accolse Mussolini negli stabilimenti di Torino.

 

Nel secondo dopoguerra, anche per questo suo passato, ci fu l’avvento dell’era di Vittorio Valletta.

 

Questi, anche per necessità post-belliche, scelse una linea estremamente filo-americana, in modo acritico, spalleggiato dall’ambasciatrice americana Clare Booth Luce.

 

La conseguenza per gli operai furono i reparti confino e, cosa ancora più grave, per l’assetto economico italiano un vero e proprio disastro, conseguenze che paghiamo tutt’ora.

 

Fiat assorbì tutte le risorse statali, a scapito di settori più innovativi. Esemplare il caso Olivetti: fu la prima al mondo a concepire il calcolatore elettronico, ma non trovò le risorse per lo sviluppo industriale. Tutti, ancora, ricordiamo le parole del   ”lungimirante ” Valletta che definiva velleitaria, per l’Italia, l’industria elettronica.

 

Fiat è andata avanti sempre con questo tipo di filosofia, una specie di filo conduttore; in un mercato domestico “protetto”.

 

Appena i mercati si sono aperti, si sono aperte le prime falle.

 

La Fiat era una vera e propria conglomerata, aveva interessi in svariati settori: Ferroviario(Fiat ferrovie-locomotive e materiale annesso) , aeronautico con (Fiat Avio) famoso il G91- frecce tricolori, vernici(Ivi), biomedicale(Sorin) , autostrade (TO-MI, TO-SV-TO-BS),assicurazioni(SAI ,prima, poi venduta; poi Toro).

 

Poi c’è stata l’era romiti(Mediobanca-Cuccia) solo finanza non prodotto. Esemplare l’estromissione di Ghidella, uomo di prodotto, padre della uno.

 

Assorbito Lancia, Alfa Romeo +Ferrari e Maserati: quindi il monopolio dell’auto in Italia, ma anziché valorizzare le caratteristiche sia di Lancia (premium, come Audi) che di Alfa Romeo (sportività, come BMW) nei fatti sono state fagocitate da mamma Fiat che si sentiva onnipotente “adattando” prodotti Fiat chiamandoli Alfa o Lancia.

 

Cosa che ha fatto Marchionne, prendendo vetture americane mettendogli il marchio Lancia (thema), peccato che le hanno comperato solo i con cessionari, obbligati, ed il suo amico Matteo Renzi, che però abbiamo pagato noi.

 

L’accordo con la Chrysler, vogliono farci credere che sia stata la Fiat ad incorporare Chrysler ma in realtà è e il contrario, con i soldi messi a disposizione da Obama, per salvare l’industria dell’auto americana. Soldi che ha dovuto restituire, con gli interessi, dato che erano abituati in Italia hanno detto che erano interessi da usura. Al che Obama ha subito replicato che se non gli conveniva non erano obbligati ad accettare (Marchionne Elkan Agnelli).

 

Subito dopo è incominciata la campagna per la fusione con General Motors. Va ricordato che già c’era stata, ai tempi dell’avvocato, una accordo con GM poi gli Agnelli uscirono con un bel gruzzolo.

 

In realtà FCA voleva farsi acquisire da  GM  perché  la volontà della famiglia è di uscire dall’auto.

 

Prova ne è che le plusvalenze dal piazzamento in borsa di un quota di azioni Ferrari, gli Agnelli l’anno usata per l’acquisto si Partner-Re, una società di riassicurazioni.

 

La prova provata dell’uscita dal settore, è la messa in vendita di Magneti Marelli l’unica che fa un po’ di ricerca in campo automobilistico

 

L’ultimo conclusivo evento, è l’uscita dall’Italia, dopo FCA , anche diEXXOR, la cassaforte della famiglia.

 

Così, dopo oltre cento anni che hanno attinto, a piene mani, dall’Italia, se ne vanno a pagare le tasse in Olanda. Qui’ restano solo a farsi portar via la spazzatura.

 

Purtuttavia lo spostamento in Olanda non è dovuto solo per una questione fiscale, ma l’aspetto decisivo e dovuto alla legislazione olandese, certamente più celere di quella italiana, ma determinante è la possibilità di avere più voti che azioni: dopo 10 anni un voto, per i vecchi azionisti, vale dieci.

 

Se fosse vivo Cuccia sarebbe felice, poiché  Lui   “ diceva “ che i voti si pesano, non  solo si contano.

 

Ma si avvererebbe anche un’altra “teoria “ cucciana,” cioè  capitalisti senza capitale proprio.

 

Con buona pace di Matteo Renzi che sostiene che Marchionne ha fatto tanto per L’Italia.

 

 

 

FERROVIE DELLO STATO

Il 21 aprile 1905, a seguito della statalizzazione di numerose ferrovie italiane, nacquero le FF. SS. (Ferrovie dello Stato).

 

Nel 1945 divenne Azienda Autonoma FF.SS..

 

Sotto il controllo del Ministero dei trasporti.

 

Nel 1986, con Legge 210/1985, furono trasformate in Ente Pubblico.

 

Il 12/08/1992 diventano S.p.A., a totale controllo del Ministero del Tesoro.

 

24/05/2011 F S Italiane S.p.A., con lo scorporo della rete ferroviaria, dovuta da direttiva europea.

 

R.F.I. Rete Ferroviaria Italiana, che comunque fa parte di F S I S.p.A. Quindi solo scorporo formale.

 

Ciò permette l’utilizzo della rete da parte di altri gestori: Italo e ferrovie tedesche, per alcune tratte soprattutto nel nord-est. Per trasporto passeggeri.

 

Il gruppo FS ha 69.000 addetti, 16.700 km di rete; 1.000 km alta velocità.

 

Negli ultimi 10 anni, tutti gli sforzi finanziari, sono stati dirottati sull’alta velocità: costruzione di apposita rete, per permettere il passaggio dei treni veloci, le frecce rosse.

 

Per i pendolari: ciccia!

 

Per la sicurezza idem come sopra: emblematico il caso Viareggio (disastro).

 

Dal 2000 i treni locali sono passati in capo alle Regioni.

 

Le Regioni, quindi, stipulano un contratto con FS, per i treni regionali; pendolari.

 

Lo Stato trasferisce, alle Regioni, per questo servizio, 6 miliardi di € dal 2008 al 2010.

 

Nel 2011 Tremonti, ministro del tesoro, eroga solo 4,9 miliardi, quasi il 20% in meno, a fronte di un aumento passeggeri-pendolari- del 8%.

 

Quindi le risorse, già scarse, diventano insufficienti, per garantire un servizio decente.

 

Le Regioni hanno un rapporto squilibrato, con FS, in quanto non esiste una autorità indipendente che certifichi la qualità del servizio reso.

 

Mario Moretti, a.d. di FS, opportunisticamente, scarica sulle Regioni, il disservizio dei treni pendolari.

 

Attribuendo alle stesse la scarsa qualità del servizio, con l’equazione: miglior servizio più soldi.

 

Opportunistico poiché dei soldi che ha ricevuto, dallo stato, gli ha destinati solo alla alta velocità ed alle frecce, che con il costo dei biglietti ha portato in pareggio il bilancio. 

 

Le scelte non sono mai prive di conseguenze.

 

Infatti negli ultimi 12 anni sono stati chiusi 1190 km di linee locali, accompagnate dalla chiusura di moltissime stazioni.

 

Tutto questo ha aggravato, ulteriormente, il disagio per i viaggiatori meno abbienti.

 

Ciò avviene perché non c’è concorrenza e quando si è “affacciata”, è stata soffocata nella culla.

 

Altri gestori, compreso ferrovie di altri Paesi, sarebbero interessati al trasporto pendolari perché con le risorse messe a disposizione dello stato, lo ritengono un affare.

 

Ma Moretti e la politica che lo ha appoggiato, si sono sempre opposti alle liberalizzazione che genera concorrenza.

 

E’ il caso di Arena che aveva provato con il percorso Torino-Milano, con fermate intermedie per raccogliere e far scendere i passeggeri; stoppato per ricorso FS perché gli toglieva clienti.

 

Stessa cosa al cosi detto treno del mare che partendo sempre da Torino andava in Liguria-5 terre.

 

Sarebbe utile sapere cosa dicono i liberisti de noantri.

 

FS ha sacrificato delle tratte intermedie, sempre in favore delle frecce.

 

Ed il trasporto merci come è messo?

 

Come i pendolari, siccome non si guadagna in fretta sono in stato di abbandono.

 

Esemplare la linea che viene da Bellinzona (CH) – passa da Laveno – è finanziata dalla svizzera per il trasporto delle merci.

 

Azienda FS è passata da 63 mln tonnellate/km a 27 (unità di misura), ha perso il 50%.

 

I privati sono passati dal 5% al 35% = a 17 mln/ton. /km di merci trasportate.

 

L’Azienda tiene conferenze e con le slide (come Renzi) promette di passare dalle stalle alle stelle, ovviamente non ci credono nemmeno loro.

 

Come Renzi, che pur avendo ereditato una situazione disastrosa, la peggiore d’Europa, prometteva, tra il serio ed il giulivo, che in un amen l’Italia sarebbe diventata faro d’Europa, facendo mangiare la polvere perfino ai tedeschi.

 

Moretti, con l’avvallo della politica, ha utilizzato le risorse ottenute con lo smobilizzo del sedime delle stazioni, tutte ne centri città, non per ammodernare tutte le ferrovie ma solo le solite frecce.

 

Inoltre con lo smobilizzo di dette aree ha compromesso la possibilità di sviluppare “l’intermodale” (treno+ gomma).

 

Ormai dal Sempione al Brennero tutti movimenti transalpini, da e per l’Italia, sono in mano agli stranieri.

 

Ne è un esempi Hupac che sta finanziando nuovi centri intermodali ne nord Italia.

 

 FS non solo non svolge il compito di trasportare i passeggeri – compito istituzionale – ma non si occupa delle merci che sono fonte di reddito.

 

E’ chiaro che la “colpa” primaria è a carico di chi ha permesso tale stato di cose: la politica.

 

 

POSTE ITALIANE

 

Furono fondate nel 1862, come Azienda Autonoma che gestiva i monopoli i servizi postali e telegrafici per conto dello Stato.

 

Nel sito ufficiale, oggi, si legge che la mission (attività principale): contribuire alla crescita del Paese.

 

Sarà un caso ma non si menziona la consegna della corrispondenza!

 

E’ cronaca, ormai giornaliera, che sindaci si recano dai prefetti per denunciare tale situazione.

 

Chi non ricorda il vecchio adagio: fa fede il timbro postale, per il ricevimento.

 

Ebbene adesso non c’è più, quindi non è più possibile “documentare” l’esatto giorno di consegna.

 

Esempio indicativo: la raccomandata.

 

Nel 2006 veniva consegnata in 3 gg al prezzo di € 2,80;

 

oggi impiega 4 gg ed il costo è pari a € 4,50.

 

Consegna è diventato un eufemismo nei grandi centri, ma non solo, non è più così.

 

La regola prevede che la busta (raccomandata) debba essere affidata a mano.

 

Oggi c’è solo l’avviso di giacenza presso l’ufficio postale; quando è aperto, nei piccoli centri.

 

Nei grandi centri, es. Roma, la consegna è stata concentrata in un ufficio, che non è il massimo della comodità per il cittadino-utente.

 

Uno dei cardini di tali disagi è che i portalettere, in due anni sono diminuiti di 6000 unità; mentre sono aumentati gli impiegati, che vendono polizze.

 

Il governo Renzi ha allungato i tempi di recapito, a giorni alterni, con buona pace degli utenti.

 

Utenti perché pagano per questo di-servizio.

 

Questo andazzo è iniziato con la trasformazione da Ente ad Spa e con Massimo Sarmi a.d..

 

Fino a quel periodo il servizio lettere era diviso in due parti:

 

         posta prioritaria, costo 60 cent. consegna 1 giorno;

 

         posta normale , costo 45 cent. consegna 3 gg.

 

Sarmi annulla la posta ordinaria ed esiste solo la prioritaria, portando il costo da 60 a 70 cent..

 

Certamente “pochi” (+ 10 cent) per il singolo utente, ma moltiplicate per il volume di corrispondenza per avere l’ordine di grandezza del guadagno per PI, in sordina.

 

Arriva il nuovo amministratore delegato: Francesco Caio, nominato da Renzi.

 

Si torna al passato, con la separazione della posta ordinaria dalla prioritaria.

 

Posta 1, ex prioritaria recapito 1 g, costo € 2,80 + 4 volte dal 2006;

 

posta 4, ex ordinaria, recapito 4 gg, costo € 0,95 , il doppio del 2006.

 

Non solo sono aumentati i costi, per gli utenti, ma nel contempo sono aumentati anche i disservizi: l’indice di puntualità si è abbassato di 9 punti percentuali.

 

Un paragone con la Francia:

 

la “lettre verte” l’equivalente della ns. ordinaria, nello stesso lasso di tempo, è aumentata di soli 7cent.  e continua a costare molto meno che in Italia, solo 68 cent.;

 

la j 1, la ns. prioritaria è aumentata, negli anni, di 10 cent. oggi costa 76 cent. circa quattro volte meno che in Italia.

 

Inoltre il piano approntato da Caio prevede la chiusura degli uffici periferici; ad oggi ne sono stati soppressi 1131.

 

Nessuno ne parla ma ciò contravviene un principio universale perché poste, in base ad un contratto con lo stato riceve, dallo stato, 250 – 300 milioni di € per lo svolgimento del servizio (di cui all’atto di fondazione).

 

Una particolarità riguarda le cartoline illustrate: quelle che un po’ tutti noi abbiamo spedito da una gita o una vacanza.

 

Oggi è quasi impossibile, non si trovano più i francobolli; i tabaccai, che sarebbero obbligati a tenerli, non lo fanno più, forse perché il margine del 5% è ritenuto non conveniente. Poiché loro devono acquistarli, non sono in conto vendita.

 

La G P S – Global Postal Service, azienda privata, aveva tentato di sopperire con un servizio alternativo in alcune città turistiche.

 

Con propri francobolli e cassette (buche lettere).

 

Ma molti turisti imbucavano nelle buche di poste italiane.

 

Risultato: 300.000 cartoline giacenti nei depositi di P I.

 

GPS ha tentato più volte di farsele dare, per inoltrarle, ma Poste Italiane vuole 60 cent. a pezzo.

 

Se un privato voleva svolgere tale servizio si denota che lo stesso rende!!!

 

Analogo discorso per consegna pacchi.

 

Poste è riuscita a perdere dove tutti guadagnano, più di 200 milioni in 6 anno.

 

E’ SDA Express Courier, in capo a P.I..

 

Corrado Passera, ex a.d. di Poste, nel 1998, acquistò SDA, perché intravedeva uno sbocco per i 180.000 dip., troppi solo per la corrispondenza.

 

Ma anche perché intuito l’evoluzione che stava avvenendo, soprattutto con il diffondersi delle vendite per corrispondenza.

 

Su questo filone, l’Olanda si era appropriata di TNT, la Germania DHL e la Francia Crono post. Tutti avevano fiutati il bussines.

 

Poi arriva Berlusconi e Passera deve fare le valige, in favore di Sarmi.

 

Con il fiuto per il peggio, ha lasciato campo libero ai concorrenti: Bartolini, Tnt, FedEx, Dhl, Ups, Gls, che stupiti ringraziano.

 

Il disastro delle poste è spiegabile con il fatto che sono state sempre oggetto di scorrerie sia dei partiti, di governo, che dei sindacati, in particolare della Cisl.

 

Sono, quindi, diventati autoreferenziali, tralasciando il fatto che dovrebbero fornire un servizio agli utenti ed al Paese.

 

 

 

ANAS

 

Azienda Nazionale autonoma Strade

 

Creata nel 1928 con il nome di: AA SS- Azienda Autonoma Statale delle Strade.

 

Il 27/06/1946 assume il nome di Anas.

 

Nel 1996 viene trasformata in Ente Pubblico Economico.

 

Il 18/12/2002 diviene S. p. A..

 

2007-2015 diventa una Holding :

 

-Società Stretto di Messina

 

-Quadrilatero

 

-Anas International

 

-Sitaf.

 

Gruppo Anas.

 

Nel 2006 viene nominato presidente Anas da Romano Prodi, che aveva lavorato all’IRI sotto la presidenza Prodi.

 

E’ stato confermato sia da Berlusconi che da Enrico Letta.

 

Ciucci è personaggio di lunga carriera e nei 10 anni in Anas diventa anche amministratore oltre che direttore, insomma un vero e proprio ras.

 

Il nostro ha deliberatamente trascurato la manutenzione della rete stradale: parole del suo sostituto.

 

Si noti che si è dimesso sotto il peso degli scandali ( crolli di ponti e viadotti) ma ne’ il ministro delle infrastrutture – Del Rio- ne’ il ministro del tesoro – Padoan- di fatto il padrone dell’azienda, in quanto detentore della maggioranza.

 

Infatti nel CdA, in rappresentanza ministero, siede Maria Cannata, quella dei derivati.

 

Costoro non hanno mai cippito.

 

Ciucci non ha effettuato la manutenzione perché voleva “ costruire” autostrade a pedaggio.

 

Due esempi:

 

         S S  1 Aurelia, la strada che da Roma portava alle Gallie , ebbene il tratto Rosignano Civitavecchia versa in uno stato di pericolosità per dimostrare la necessità di costruire un autostrada. Non giustificata dal volume di traffico, vedi BreBeMi elevato solo nel periodo estivo. Molti esperti sostengono che una strada a doppia corsia per senso di marcia e sufficiente e costa meno.

 

         La E 45  Orte Cesena la trasversale dell’Italia centrale, idem, abbandonata per introdurre il pedaggio. Per questa strada occorrono 1,6 miliardi per il ripristino contr i 9miliardi per l’eventuale autostrada. Il punto che non si bada alle necessità della mobilità ma si è più attenti al coacervo di interessi che si muovono nel settore costruzioni.

 

Ciucci era talmente ossessionato, dalle autostrade, che sulla Catania-Rosolini, un prolungamento della ME-CT, ha installato i caselli per la riscossione pedaggio, che non ci sono.

 

E sempre lui ha proposto di far pagare il pedaggio sul GRA di Roma= la paralisi della città.

 

Anas ha interessi in 16 autostrade, in particolare:

 

         32% Traforo del Bianco

 

         35% Asti Cuneo

 

         50% Autostrade Lombarde

 

         50% CAV Concessioni Autostrade Venete (passante Mestre)

 

         51% Torino Bardonecchia.

 

Anas ha incassato 19 mln in 5 anni dal Traforo del Bianco,

 

4 mln in due anni dalla Torino Bardonecchia,

 

600 mln anno da altre autostrade, questi ultimi sono il frutto del sovraprezzo del pedaggio, in favore Anas, pari a:

 

         6 per mille a km per autovetture

 

         18 per mille per i camion.

 

Così si capisce perché ad inizio anno ci sono immancabilmente gli aumenti dei pedaggi, concessi da Anas, poiché si aumenta le entrate.

 

E pantalone paga.

 

I soldi non venivano spesi per le strade, una parte spesi per consolidare suo potere personale.

 

Aveva un ufficio stampa composto da 60 dipendenti il capo ufficio aveva un budget di 5 mln/anno per pubblicità sui giornali, ciò potevano dissuadere dal fare domande “indiscrete”?

 

Tutti sapevano, nessuno parlava.

 

Solo un senatore PD di Livorno tentò di capire cosa avveniva all’Anas, ma fù lasciato solo ed isolato.

 

Ne Del Rio ne Padoan hanno mosso un dito per esercitare un loro preciso dovere.

 

Hanno abdigato.

 

Ciucci è andato via perché travolto, metaforicamente, dai crolli stradali.

 

Altrimenti era ancora “padrone” di Anas.

 

 

 

 

SERVIZI FORNITI DALLO STATO

Scadenti e addirittura sulla strada dell’ annullamento, di fatto.

 

Si parla di servizi essenziali che lo stato fornisce, dietro pagamento delle tasse (per chi le paga).

 

Trattasi di:

 

         Strade,

 

         Ferrovie,

 

         Poste,

 

         Municipalizzate, servizi comunali.

 

Sono sotto gli occhi di tutti, la qualità di questi servizi che si può dire che lo Stato sta abdicando dal suo ruolo.

 

La trasformazione in s.p.a , cosa buona, attraverso gli amministratori delegati: Ciucci all’anas, Moretti alle ferrovie, Sarmi alle poste, hanno certamente apportato migliorie contabili ma nel contempo hanno snaturato i principi e gli scopi per cui furono creati tali enti.

 

La “colpa” non è soltanto loro.

 

Le responsabilità maggiori sono da attribuire a chi gli ha nominati: la politica.

 

Di questi quattro comparti vogliamo darne una sintetica analisi, non esaustiva, che dimostra gli errori compiuti in regime di monopolio.

 

Questi campioni, a chiacchiere, di concorrenza e mercato, predicano e basta.

 

Molte volte hanno portato al disastro le aziende stesse.

 

ROMA DISCUTE SAGUNTO BRUCIA

Adesso che la Corte Costituzionale ha ammesso il referendum, promosso dalla Cgil, sulla questione voucher; ci sarà una battaglia, a parole, sulla questione.

 

Sempre che il governo faccia tenere il referendum stesso.

 

Sì perché basta modificare, magari solo formalmente, che il referendum non venga indetto.

 

Ma anche se è indetto, deve superare il quorum, cosa difficile.

 

Basta vedere cosa è successo al referendum sulle trivelle.

 

Boicottato da chi ricopriva ruolo pubblico, Renzi.

 

Dovrebbero avere un atteggiamento che stimoli il senso civico, sempre, non solo quando fa comodo.

 

Una premessa: è giusto chiamare i cittadini ad esprimersi sui voucher, dato l’uso abnorme, al di là dello spirito con cui furono introdotti.

 

Però il problema principe è e rimane la non crescita del Paese.

 

Solo con la crescita economica e della occupazione si potrebbe tornare allo spirito della loro introduzione.

 

Perché creerebbe la condizione di poter scegliere un lavoro, altrimenti si prende ciò che c’è.

 

Come diceva un vecchio adagio: più tosto che niente è meglio più tosto.

 

Intanto la disoccupazione giovanile è inchiodata al 40%!

 

Ma di questo non si parla!

 

Nemmeno nel PD, partito al governo – si fa per dire-.

 

Infatti nella riunione della direzione di questo partito non si hanno tracce di questi problemi.

 

Si è discusso sulla data del congresso ma non dei problemi dell’Italia.

 

Ma parlare di ciò equivarrebbe ad ammettere che hanno sbagliato politica.

 

Cioè hanno puntato tutto sul costo del lavoro. E’ stato fatto persino un convegno in cui si argomentava l’investimento in Italia in quanto un ingegnere costava meno.

 

Hanno fatto finta di non vedere che pezzi importanti, economicamente, di imprese o andavano all’estero o venivano comperate da gruppi internazionali.

 

Così è avvenuto per settori strategici, quegli che creano produttività e quindi ricchezza, per se e per il paese.

 

Si dice che bisogna valorizzare il made in Italy, poi non si fa nulla per tenere imprese, appunto produttrici del made.

 

Si pensi all’agro-alimentare, alla moda.

 

Hanno lasciato andare settori della finanza (banche-finanza) che ovviamente favoriranno gli investimenti verso i Paesi d’origine.

 

Non hanno mosso un dito per difendere i settori e le imprese strategiche.

 

Hanno gridato allo scandalo quando Bollore’ ha acquistato azioni Mediaset, che è strategica solo per Berlusconi che poi invita i politici a far chiacchiere in tv.

 

Naturalmente l’abbandono, non e solo colpa dei politici.

 

Una grande responsabilità è addebitabile a Confindustria che bada solo all’immediato guadagno. Non investe sul nuovo e sulla ricerca poiché costa e da risultati , che qualche volta non arrivano.

 

In sintesi non amano rischiare!

 

 

IOR

Acronimo di:

 

Istituto per le Opere di Religione.

 

Fondato nel 1942 da Papa Pacelli = Pio XII.

 

Pur tuttavia non è la Banca Centrale del Vaticano.

 

Tali funzioni sono in capo all’ APSA (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica).

 

Lo scopo dell’Istituto, quindi, per conseguenza, anche dello I O R è:

 

provvedere alla custodia amministrazione dei beni mobili ed immobili trasferiti o affidati, da persone fisiche o giuridiche, destinati ad opere di religione o carità.

 

La sede dello I O R, all’interno della Città del Vaticano, è il torrione del 1453, detto di Papa Nicolò V, ed è ubicato proprio sotto il palazzo Apostolico, ove risiede il Papa.

 

I depositi o c/c, presso lo IOR, fruttano dal 4 al 12%, esentasse; dato che giuridicamente è un altro Stato.

 

L’Istituto è gestito da valenti professionisti bancari, che riferiscono al Collegio Cardinalizio, che a sua volta riferisce al Papa.

 

L’origine, dell’APSA/IOR, è l’11 febbraio 1887, Papa Leone XIII, istituì la Commissione Cardinalizia della Pias Causas.

 

Pio X  la rinominò: Commissione Cardinalizia per le Opere di Religione.

 

Il ruolo, importante, della finanza vaticana si può datare 1929, con la stipula dei così detti Patti Lateranensi, sottoscritti dalla chiesa e da Mussolini.

 

I Patti prevedevano, a titolo di rimborso per gli espropri, effettuati nell’era napoleonica:

 

         £ 750.000.000 (settecento cinquanta milioni)

 

         £ 1.000.000.000 (un miliardo).

 

Sembrano pochi, ma rapportati al periodo, quando percepire mille lire al mese, come recitava la canzone, era un sogno.

 

Quindi era un capitale ingente.

 

Pio XI  nominò Bernardino Nogara amministratore dello IOR nel 1929 e ne restò alla guida fino al 1954.

 

Nogara è stato l’artefice della rilevanza economica del Vaticano, grazie ai soldi dello   stato Italiano.

 

Ha investito in settori strategici, a differenza dei nostri industriali, quali: energia elettrica, comunicazioni telefoniche, credito, farmaceutico, cemento, acqua.

 

Società controllate: Italgas, Snia Viscosa, solo per citare più importanti.

 

Forte partecipazioni in: Istituto di Credito Fondiario, Assicurazioni Generali, Bene Stabili Roma, Caffaro, Adriatica Elettricità, Cartiere Burgo.

 

Controlla: Cassa Risparmio Roma, Banco Santo Spirito, Banco Roma; quest’ultimo rifilato all’ IRI nel 1930, a seguito dei vari crak, per la bella cifra di 630 milioni di £, quasi quando l’indennizzo per gli “espropri”.

 

Un investimento strategico: Officine Meccaniche Reggiane, Breda e Compagnia Nazionale Aeronautica.

 

Queste fornirono, nel 1935, armi e munizioni per l’offensiva in Libia.

 

Fino al 1962 lo IOR non è mai apparsa, svolgendo sotto traccia i suoi affari.

 

Ha una partecipazione, importante, 24,5 % della Banca Privata Finanziaria di Sindona.

 

Con lo stesso ha partecipazioni comuni, ivi compresi movimenti di capitali nei paradisi fiscali.

 

Nel 1971 Paul Marcinkus è presidente IOR ed anche guardia del corpo di Paolo VI.

 

1972 Marcinkus, vende il 37%, al Banco Ambrosiano di Calvi, della Banca Cattolica del Veneto di cui lo IOR deteneva il controllo con il 51%.

 

Ciò creò la reazione dei vescovi veneti, che si trovarono senza la loro banca, dalla sera alla mattina.

 

Tra i vescovi cera anche Albino Luciani, futuro Papa, con il nome di Giovanni Paolo.

 

Comincia l’inizio del coinvolgimento, quantomeno adombrato, con il trio Sindona-Calvi-Gelli.

 

Un groviglio tra mafia massoneria e perfino delinquenza comune, banda della magliana.

 

Lo IOR diventa lo snodo degli intrecci di riciclaggio e tangenti.

 

Un pentito di mafia, sostiene che IOR riciclato soldi di cosa nostra e che Licio Gelli vi abbia custodito denaro dei corleonesi.

 

Perché garantiva investimenti e discrezione.

 

Si dice che tra il 1989 ed il 1993, sono state erogate somme ai contras del sud America ed a Solidarnosc.

 

Inoltre l’istituto è stato coinvolto nel transito di denaro che serviva per le tangenti, quali ENIMONT. Ultimo, in ordine di tempo, tangenti per le grandi opere.

 

L’aspetto più opaco è lo scandalo del Banco Ambrosiano di Calvi:

 

Beniamino Andreatta, ministro del tesoro, alla Camera riferì che il banco aveva un buco di 2 miliardi di dollari di cui 1,159 miliardi garantiti dallo IOR.

 

Una situazione poco edificante per la chiesa.

 

Certamente lontano dallo statuto APSA gestione di fondi destinati ad opere di religione e carità.

 

Nel 2013, Papa Francesco ha creato Pontificia Commissione Referente, per conoscere meglio la posizione giuridica e le attività dello IOR.

 

Tale commissione è stata sciolta nel 2014.

 

Il risultato, conosciuto, è la cancellazione di alcuni conti: da 20700 a 18900.

 

Il resto è custodito entro le mura leonine.