ALITALIA

1947 ALITALIA, effettua il primo volo, Torino – Roma – Catania, con un Fiat G 12 E.

 

Alitalia stava per Aviolinee Italiane Internazionali.

 

Due mesi dopo c’è il primo volo internazionale: Roma – Oslo.

 

Il velivolo è un Savoia Marchetti S R 95, con 38 passeggeri.

 

Nel 1950 la prima hostess con divisa delle sorelle Fontana.

 

Aeromobile è un quadrimotore D C 4.

 

Vengono serviti, a bordo, i primi pasti caldi.

 

Alitalia è tra i vettori preferiti dalla clientela internazionale.

 

Nel 1957 nasce Alitalia, fondendosi con L A I (Linee Aeree Italiane);

 

la società ha 3000 dipendenti e 37 aeromobili.

 

1960 olimpiadi di Roma, Alitalia compagnia ufficiale dei giochi.

 

Apre l’aeroporto internazionale di Fiumicino.

 

1969-70 nuovo logo, A stilizzata, tricolore, sul timone; entrano in linea i Boeing 747

 

Conosciuti come jumbo, per la loro capacità di carico.

 

Nel 1980 – 82 c’è il rinnovo della flotta, entrano in linea gli Airbus A 300 e gli

 

M D 80 per il lungo raggio.

 

Nel 1990 – 91 nuovi trireattori M D 11 a lunga autonomia, fino a 12000 km.

 

2001 – 02 Alitalia fa parte accordo Sky Team, accordo di interscambio con altre società ( Air-France, Delta Airlines, Korean –Air Lines e Czech Air Lines).

 

Ma purtroppo i conti non vanno comunque bene.

 

Si parla di effettuare radicali mutamenti, che non approdano a nulla, anche per la forte opposizione sindacale, ma non solo.

 

Si succedono Amministratori Delegati, che aggravano i conti della società e vengono “sostituiti” con laute buonuscite milionarie: uno per tutti Cimoli.

 

Prende quota la possibilità di vendere la società.

 

Air-France è disponibile all’acquisto, compreso i debiti.

 

Ed è qui che entra in gioco la politica, ancora una volta, con il governo Berlusconi,

 

che vuole difendere l’italianità della compagnia di bandiera.

 

Quindi nel 2009 nasce C A I, Compagnia Aerea Italiana, che rileva Alitalia.

 

Ma non come avrebbe fatto Air-France, che avrebbe preso tutto, compreso i debiti.

 

CAI, dei così detti capitani coraggiosi, ha scelto fior da fiori!

 

I debiti se gli è accollati lo stato, cioè la collettività!

 

Nel gioco entra anche Banca Intesa, tramite Corrado Passera, fautore della soluzione italiana.

 

Auspica la fusione Alitalia – Air One, che porta in dote gli aeromobili, però adatti per il corto raggio.

 

Tale fusione, era auspicata da Banca Intesa, poiché AirOne era fortemente indebitata con la stessa e la fusione era l’unico modo per rientrare dai debiti; tradotto: Banca Intesa ha solo fatto i suoi interessi, scaricando i costi sulla collettività.

 

A supporto di tale operazione la politica, Berlusconi, concesse l’esclusiva della tratta Milano-Roma, la più remunerativa, con perno Linate, a scapito di Malpensa.

 

Con ciò vanificando gli ingenti investimenti effettuati su Malpensa, per farne un Hub internazionale.

 

Il fatto del monopolio Milano- Roma, ha “distolto” i capitani coraggiosi dal riassetto della compagnia.

 

Detto in parole povere, ma efficaci, hanno spremuto il limone, Alitalia, trascurando di rilanciarla per le lunghe rotte, quelle più redditizie.

 

Ed è così che arriviamo al 2015 e l’accordo con Etihad Airways, compagnia di bandiera degli Emirati Arabi Uniti.

 

Ovviamente Etihad fa i suoi interessi, a dispetto dei politici italiani che volevano farci credere cha arrivava babbo natale carico di soldi.

 

Etihad pose delle pregiudiziali, prima di intervenire:

 

a)     Taglio del personale

 

b)    Niente debiti

 

c)     Concentramento , di fatto hub, a Fiumicino.

 

Ma non ostante ciò la cosa non ha funzionato, poiché i soldi, tanti, per rinnovare la flotta per il lungo raggio, Etihad non li ha messi ne’ tanto meno i capitani coraggiosi.

 

Così si è arrivati al classico cul de sac.

 

La compagnia propone di licenziare una fetta di personale, come sempre.

 

Ma questo non salverebbe la compagnia, al massimo allontanerebbe la resa finale.

 

 

 

CONFINDUSTRIA

La Confederazione Generale dell’Industria Italiana,

 

nota come Confindustria, nasce il 5 maggio 1910.

 

La prima sede era a Torino e solo nel 1919 si trasferì a Roma.

 

Confindustria nacque per sostenere e difendere gli interessi delle imprese associate.

 

Ma l’evoluzione della stessa è più complesso, rispetto al principio fondativo.

 

Infatti, già nel 1919, il suo presidente, Dante Ferraris, fu nominato ministro dell’industria nel governo Nitti.

 

Con l’avvento del fascismo, “aiutato” dagli industriali, dopo brevissimo periodo, si schierò, anima e corpo con esso.

 

Nel 1925, con il patto di palazzo Vidoni, Confindustria riconobbe, quale unico interlocutore, il sindacato fascista.

 

Nel 1926 cambiò nome e divenne: Confederazione Generale Fascista dell’Industria Italiana.

 

Addirittura nel suo logo apparve il fascio littorio. Durato fino al 1943.

 

Nel 1934 divenne Confederazione Fascista Industriali.

 

Giuseppe Volpi di Misurata ed Alberto Pirelli ne furono i fautori.

 

Tant’è che Pirelli dovette abbandonare la direzione dell’Azienda, nel dopo guerra.

 

Alla fine della guerra, Confindustria, era sempre invischiata con la politica.

 

Alcide De Gasperi, presidente del consiglio, definiva confindustria il quarto partito.

 

Nel 1958 fu istituito il ministero delle partecipazioni statali e l’Intersind, che trattava, con i sindacati, per le industrie IRI ed Efim.

 

Ciò ruppe, almeno apparentemente, la chiusura di Confindustria nei confronti sindacali.

 

Bisogna aspettare i primi anni settanta, dopo l’ondata di contestazioni generali, perché anche in confindustria si aprisse qualche squarcio di novità.

 

Il tutto incominciò con il così detto rapporto Pirelli, che apri, anche in confindustria , una certa democratizzazione e comunque un peso maggiore delle organizzazioni periferiche.

 

Con la presidenza Agnelli, si tentò di fare un patto fra produttori, contro la rendita, che si annidava anche in imprese associate a confindustria.

 

D’altronde, come sosteneva Guido Carli: la borghesia produttiva aveva scambiato la sua causa con la conservazione; rinunciando a introdurre elementi di liberalizzazione nel tessuto economico.

 

Continua, Carli: i ceti imprenditoriali volevano solo che lo stato gli aiutasse nei loro affari, senza mai identificarsi nelle istituzioni.

 

Esemplare il commento di Carlo Azeglio Ciampi, uscendo dalla assemblea annuale di confidustria, rispondendo ad un giornalista: sono proprio bravi questi industriali, bravi a dire cosa debbono fare gli altri, senza mai dire cosa dovrebbero fare loro.

 

Poi assecondarono Craxi, con il taglio della contingenza e la nave va con la Milano da bere.

 

Conseguenze, sparizione grandi industrie, che paghiamo tutt’ora.

 

Ultimo, solo in ordine di tempo, l’adesione sperticata al referendum renziano.

 

Commissionando al, suo, centro studi, una previsione farlocca, sulle conseguenze del no alla riforma.

 

Conseguenze smentite dal dopo referendum

 

Forse il presidente attuale, Vincenzo Boccia, doveva qualcosa alla politica per la sua elezione, dato che, ormai le industrie di stato, hanno un peso all’interno della struttura confindustriale.

 

Non sarebbe male se si tornasse alle origini, cioè la difesa degli associati.

 

Sarebbe un beneficio sia per i singoli che per l’intera economia.

 

 

 

 

MASSONERIA

Massoneria e massone non sono termini della lingua italiana.

 

Ma derivano dal francese: franc maconnerie  e franc macon.

 

Tradotti in: libera muratoria (massoneria) e libero muratore (massone).

 

E’ in questo modo che si chiamano gli “associati”.

 

Muratoria, perché fanno risalire, l’origine, ai tempi della costruzione del tempio di Re Salomone in Gerusalemme.

 

Per questo tra i simboli figurano squadra e compasso.

 

Hiram Abif, capo operaio che custodiva i segreti costruttivi.

 

Si narra che usasse delle parole segrete per dare ordini alle varie squadre impegnate, nella costruzione.

 

Per gelosia fu trucidato e gettato nel deserto.

 

Salomone lo fece cercare e dato che il cadavere era già in decomposizione, per riconoscerlo, lo toccarono, come fanno i non vedenti.

 

Narra sempre la leggenda che una delle parole segrete fosse maestro.

 

Ecco, quindi che nel rito di iniziazione, il maestro – conoscitore detentore- tocca il neo affiliato.

 

Dunque, almeno inizialmente, la libera moratoria, non era altro che una “associazione” di costruttori, che difendevano i loro saperi.

 

In tempi più vicini a noi, la definizione, in termini socio-scientifici, e alquanto indefinita.

 

Poiché, la vasta pubblicistica, dal punto di vista bibliografico non è ben definita.

 

Si va da una classificazione libraria fra: religione, scienze occulte, società segrete.

 

Ha poi prevalso, nel mondo anglofono, quella di friendly societies o fraternal associations;  in italiano: unioni amicali, associazioni fraterne.

 

Il 24 giugno 1717, nasce a Londra la massoneria moderna.

 

Inizialmente i massoni tendevano a diventare i consiglieri del principe illuminato, attraverso le loro conoscenze, dato che perlopiù erano intellettuali.

 

Queste “associazioni”, anche attraverso lo sviluppo mercatile, diffondevano nuove conoscenze scientifiche.

 

Anche per questo furono avversati dai vecchi regimi, che intravvedevano un pericolo per il loro potere assoluto.

 

Non a caso, in Italia, ben due Papi, gli scomunicarono.

 

Tra il 1738 ed il 1751, furono perseguiti: dai Papi, dai governi protestanti e persino dal governo turco.

 

Appellandosi al diritto romano sostenevano che ogni associazione non autorizzata, è considerata illecita, quale fonte di sovversione.

 

Le varie commissioni di inchiesta non trovarono nulla contrario al buon ordine ed al dovere di sudditi.

 

La chiesa sostenne che i fautori della rivoluzione francese furono tre sette:

 

liberi muratori,

 

giansenisti,

 

filosofi.

 

In Italia la diffusione avvenne negli anni 80 del 1700.

 

A Torino e nel Piemonte, regnante Vittorio Amedeo III, che suscitò uno spirito evelutivo intellettuale.

 

In Toscana, con i Lorena che sostituirono i Medici.

 

Gli inglesi che furono portatori di uno sviluppo scientifico in Toscana, confinante con lo stato pontificio.

 

Nel 1805 nasce il GOI-Grande Oriente Italia, la prima Loggia.

 

La massoneria ebbe contatti con la carboneria italiana.

 

Anche carboneria deriva dal francese, da una confraternita di legnaioli venditori di carbone=charbonniers.

 

Nel 1860, dopo la restaurazione del congresso di Vienna, la massoneria si riorganizza.

 

Identificandosi con lo stato unitario ed ispirandosi al risorgimento.

 

Sorsero varie logge, spesso in disaccordo fra di loro e non sempre “obbedienti” al GOI.

 

Ebbero una forte caratterizzazione anticlericale. Singolare la diatriba sulla cremazione, con i massoni a favore e la chiesa contraria.

 

La massoneria appoggiò la nascita del fascismo, il 23 marzo 1919 a Milano in p.zza San Sepolcro,9. La riunione si fece in un circolo di interessi industriale e fu appoggiato dai massoni che vedevano in Mussolini un anticlericale.

 

Il fascismo gli usò e poi gli perseguì, sciogliendoli.

 

Post-fascismo.

 

La massoneria si divise in due tronconi principali:

 

rito simbolico, noto come giustiniani, da palazzo Giustiniani;

 

rito scozzese in piazza del Gesù .

 

I primi avevano una volontà di combattere tutti i dispotismi.

 

I secondi, avevano posizioni confuse, alcuni di fede monarchica, dopo essere stati fascisti.

 

Semplificando si può affermare che:

 

a)      Il GOI era per la Repubblica

 

b)     Il rito scozzese era per la monarchia.

 

Dal 1948 al 2005 le fonti sono di scarsa attendibilità.

 

Di certo c’è che si avvolti in una tela di difficile decifrazione, in cui sono maturate iniziative anche personali e di difficile decifrazione.

 

Una per tutte è la loggia propaganda due: la P 2 di Licio Gelli (?).

 

Negli anni 1960 – 1970 c’è la strategia della tensione e si adombra la massoneria quale fautore.

 

Si percepisce, senza riconoscerne i contorni, un disegno politico occulto.

 

Negli anni ’80 la muratoria, cerca di accreditare un complotto, come fecero i papi con loro, anti massonico ordito da:

 

a)      Cattolici

 

b)     Comunisti

 

c)      Magistrati.

 

Specularmente, ed in modo arbitrario, come i papi, i cospirologi profani, vedono nella loggia P2 il centro propulsivo dell’eversione.

 

Licio Gelli e “figlio” del GM Gamberini, che intendeva riportare la massoneria alle origini(?).

 

Nel frattempo accreditò Gelli nei circoli massonici americani, molto potenti.

 

Gelli credeva di essere il burattinaio ed invece era soltanto un burattino anch’egli.

 

Il famoso piano R non fu concepito da lui ma “copiato” sotto imput dai circoli finanziari americani.

 

Per loro e per i loro affari, il tessuto democratico era, è, una pastoia che va recisa.

 

Il risultato della Commissione d’inchiesta, ha indagato solo l’aspetto materiale dell’eversione.

 

Non quello “politico”.

 

La recente proposta di modifica costituzionale aveva le stesse caratteristiche del piano R:

 

spostare il peso dal parlamento all’ esecutivo.

 

Ancora oggi si sottovaluta il problema di fondo:

 

l’alleanza di Renzi con Verdini.

 

Ma non deve meravigliare questo, bensì il fatto che Renzi dica le stesse cose che diceva Gelli 40 anni fa.

 

 

 

 

 

CONTRATTO  STATALI  ?????????

Sottoscritto il contratto per gli statali, così titolavano i giornali.

 

Il grande Totò avrebbe esclamato: ma mi faccia il piacere, mi faccia.

 

Esulta il governo e si capisce.

 

Esultano Cgil-Cisl-Uil e si capisce molto, moltissimo, meno.

 

Non esultano i lavoratori, del pubblico impiego, e si capisce benissimo; poiché sono 7 (sette) anni che non hanno rinnovato il contratto.

 

Non perché non volevano, ma perché c’è stato il blocco del governo.

 

Qualcuno, in modo rude, ma efficace, ha definito, la firma del protocollo, una marchetta elettorale per il governo.

 

Per il semplice fatto che il governo ha l’obbligo di rinnovare il contratto, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2015.

 

In sette anni, la perdita, per i lavoratori, è stata di 130 €/mese, per uno stipendio medio.

 

Cifra dedotta da tabelle Aran – agenzia trattante, per il governo-.

 

Per Cgil-Cisl-Uil la cifra è addirittura più alta, pari a 212 €/mese.

 

Il risparmio, per lo stato, calcolato dal ministero del tesoro è stato di 35 miliardi di €.

 

A fronte di tali cifre, il protocollo “prevede” un aumento di 85€ medi lordi (non per tutti), quindi alcuni, forse molti, percepirebbero molto meno.

 

Ovviamente gli 85 €/lordi ci sarebbero a fine scadenza contrattuale, nel 2018.

 

Solo due mesi fa Cgil-Cisl-Uil chiedevano un aumento medio non inferiore a 150 €/mensili.

 

C’è poi da aggiungere che l’eventuale accordo è privo di copertura (soldi).

 

Secondo il ministro, Madia, il costo è di 5miliardi per i tre anni di contratto.

 

Con gli oneri occorrono 2,3 – 2,5 miliardi/anno.

 

Coperture (soldi) che non ci sono.

 

La legge bilancio ha stanziato 1,5 miliardi per il 2017; soldi che servono anche per gli 80 € per militari e polizia più altri per le assunzioni.

 

Quindi la cifra disponibile, per il contratto, 850 milioni.

 

Non c’è bisogno di essere matematici, per evidenziare che la cifra non è sufficiente per onorare l’eventuale patto.

 

Con questa cifra si arriverebbe ad un aumento a 10/15 € mese per il 2016 e 18/25 per il 2017 sempre lordi.

 

Il governo dovrebbe trovare, per onorare, il modesto aumento, oltre 5 miliardi di €.

 

Questo recepimento dovrebbe avverarsi nello stesso periodo in cui, il governo, si è impegnato ad attuare una stretta sui conti, di 35 miliardi di €.

 

E sempre nello stesso periodo, c’è un impegno per il taglio del ’Irpef.

 

Le ipotesi sono due, la prima: il presidente Boccia –Confindustria –che ha una tipografia si impegna a stampare euro; la seconda e che il ministro Padoan trasformi il piombo in oro.

 

L’ultima chicca.

 

I sindacati di base hanno chiesto come mai non sono stati convocati?

 

Il sottosegretario ha spiegato che non si trattava sul contratto ma di un accordo politico, quindi la regola del convocare tutti non valeva. (?)

 

Infine le trattative vere e proprie, sui contratti dei vari settori delle pubblica amministrazione, inizierà dopo che il ministro, Madia, ammesso che sia ancora, dato che radio scarpa parla di rimpasto post referendum.

 

Il ministero deve dare le linee guida all’Aran, agenzia come datore di lavoro, sempre radio scarpa, dice che se ne riparla a metà del 2017.

 

Poi si offendono se dicono che hanno fatto un favore elettorale al governo.

 

In cambio di che’?

 

Magari lo hanno fatto gratis!

 

 

 

 

 

 

R  E  F  E  R  E  D  U  M    3

Il 4 i cittadini Italiani si sono recati alle urne per esprimere, con il voto, l’approvazione o il respingimento della così detta riforma costituzionale.

 

Così detta, poiché nei fatti, era un cambiamento radicale della stessa.

 

Se prevaleva il sì, non avremmo avuto più una Carta frutto di un ordinamento parlamentare.

 

Infatti la proposta è stata votata a maggioranza, di conseguenza non sarebbe stata più la Carta, frutto di opinioni diverse e quindi, pur nella diversità, da tutti riconosciuta.

 

Sembrerà assurdo ma ci saremmo trovati con una sorte di Statuto albertino.

 

Cioè una costituzione concessa dal sovrano.

 

La battaglia del no, ricorda, per similitudine, la scritta sul Sacrari ai martiri del San Martino   (Partigiani trucidati dai nazi-fascisti): abbiamo imbracciato le armi per la libertà di tutti.

 

Non è retorica.

 

Abbiamo salvato la Carta per tutti.

 

Compreso chi ha votato sì.

 

Ovviamente quando c’è un competizione c’è chi vince e chi perde.

 

Ha perso Giorgio Napolitano, che da garante della Costituzione, ne ha promosso, pervicacemente, il cambiamento, meglio dire stravolgimento.

 

Poiché se passava, il peso si sarebbe spostato dal parlamento all’esecutivo.

 

Hanno perso giornali e giornalisti, che non hanno capito, o non hanno voluto, i cittadini.

 

Hanno perso i “poteri forti”.

 

Esemplare J P Morgan, che trova disdicevole che i cittadini votino i propri rappresentanti.

 

Ne è un esempio le province, ci sono ancora, però non più eletti dai cittadini, ma solo dai sindaci, che non rappresentano tutti i cittadini, ma solo una parte, anche se maggioranza.

 

Ha perso Renzi e chi lo ha sostenuto.

 

Renzi si è impegnato, mettendoci del suo, per perdere.

 

Lo ha riconosciuto perfino il suo padrino – Napolitano.

 

Ha invaso tutti gli spazzi possibili ed immaginabili, arrivando ad un saturazione controproducente.

 

Non ha ascoltato gli esperti quando gli consigliarono di non esporre troppo Maria Etruria,

 

perché con le sue butade, portava voti al no.

 

Lui si è sostituito a lei.

 

Come affermo un famoso politico: hanno voluto contarsi ed hanno perso.

 

Hanno vinto i cittadini italiani.

 

Ha perso la Confindustria, segnatamente il suo presidente Boccia.

 

Pronosticava scenari apocalittici, alla vittoria del no.

 

Il 6 dicembre, il loro giornale –Il sole 24 Ore- ha titolato che la vittoria del no, non ha influenzato ne’ la borsa ne’ i mercati finanziari.

 

Anche il Presidente della Repubblica, non ne esce bene.

 

Lui si è definito, in termini calcistici, arbitro.

 

In realtà Lui non è solo arbitro, ma garante della Costituzione.

 

Ma anche nelle vesti di arbitro, non ha mai fischiato, quando il presidente del consiglio,

 

seminava  panico  nella comunità finanziari internazionale, per una vittoria del no.

 

Signor arbitro dov’era ella?

 

Se questa è la loro capacità d’analisi, si capisce perché l’economia è in affanno.

 

In questi mesi hanno discusso di bicameralismo, di formazione della Leggi di funzionamento dello stato e non solo “quattro, quattro, tre”.

 

Questo lo dobbiamo a Renzi.

 

Adesso il nostro medita vendetta.

 

Quanto detto, nella notte del 4, non è all’altezza di un presidente e nemmeno di un politico.

 

Non sa perdere.

 

Von Clausewitz diceva: la guerra è avvolta nella nebbia ed è il regno dell’incertezza.

 

Lo stesso vale per la politica.

 

Caro Renzi, non ascoltare le sirene che ti dicono che hai vinto perché hai il 40%.

 

Quegli non sono voti tuoi.

 

Nel referendum sulla scala mobile, il Pci perse con oltre il 45%.

 

Alle successive elezioni prese il 26%.

 

Meditate: meditade.

 

Anche perchè coloro che sono saliti, velocemente, sul carro del vincitore, altrettanto velocemente ne discenderanno.

 

Ci sono già i primi sintomi.

 

Qualcuno, in modo elegante, come si fa a quei livelli, ha già evidenziato alcuni distinguo.

 

 

 

R E F E R E N D U M   2

IL 4 dicembre si vota per il referendum sul cambiamento della Costituzione.

 

La Carta Costituzionale stabilisce le regole della convivenza civile e la convivenza civile è convivenza tra diversi.

 

A sentire il presidente del consiglio, Matteo Renzi, si ha l’impressione, eufemismo, che lui non intende quanto detto sopra: convivenza tra diversi.

 

Infatti ha definito tutti coloro che votano no “accozzaglia”.

 

Si potrebbe ribattere che lui è in compagnia dei Verdini, De Luca ed altri pluri-inquisiti.

 

Ma non scendiamo al suo livello.

 

E’ necessario, però, ricordare che egli è il presidente ed in tale veste, purtroppo, è il presidente di tutti gli italiani, sia che votino sì o che votino no.

 

Questo ruolo dovrebbe consigliagli maggiore riflessione.

 

Gli va ricordato che in alcuni casi la forma è essa stessa sostanza.

 

All’inizio, il nostro, a definito la vittoria de no, un diluvio.

 

Per ora l’unico diluvio è la sua presenza, debordante, su tutte le reti TV.

 

Dato che sia lui che il ministro Boschi hanno detto di ispirarsi Fanfani, aretino come lei.

 

Giova ricordare che Amintore Fanfani, quando concesse l’accesso alla Tv anche all’opposizione venne accusato, dai colleghi di partito, DC, di dare spazio ai comunisti.

 

Al che Fanfani rispose: cari colleghi non dovete confondere gli interessi di partito con quegli dello Stato.

 

Una bella lezione per questi rampanti sfrontati.

 

Fanfani seppe tenere la schiena dritta davanti ai così detti poteri forti, il quarto partito, come diceva De Gasperi, riferendosi alla Confindustria.

 

Lo stesso Andreotti, pur chiacchierato, ebbe il coraggio di dire a lor signori se volete governare dovete farlo alla luce del sole.

 

Poiché con certe “soluzioni” (tipo la schiforma di Renzi) si vuole solo minare il voto universale.

 

Cosa che si accinge a fare questa “riforma”: come fatto con le province, ci sono ancora, l’unico cambiamento è che non si vota più.

 

Stessa cosa accadrà, se vince il sì, per il senato: resterà senza il voto dei cittadini.

 

L’intento, neanche tanto mascherato e di spostare il perno delle decisioni sull’esecutivo, segnatamente sul presidente del consiglio.

 

Il Parlamento e gli altri organi di controllo sono dei “fastidi”, per il conducator, possono esistere

 

solamente se “funzionali” a questa impostazione.

 

Devono rassegnarsi ad un ruolo di mero belletto.

 

Una riflessione di insieme:

 

questa riforma travolge l’indipendenza del presidente della Repubblica, rendendolo ostaggio della maggioranza – artificiosa – ; pone le premesse per una Corte Costituzionale addomesticata; mette, pesantemente, le mani sul CSM, rendendo inefficace ogni limite ad ulteriori riforme costituzionali.

 

E’ lo scenario di un regime!

 

Forse tutto ciò non è (?) nelle intenzioni dei propositori; ma non è necessario, perché non è detto che al governo restino quegli che la stanno proponendo.

 

Così si attua quanto previsto dal documento di JP Morgan: i cittadini hanno troppi diritti    ed almeno ogni 5 anni votano anche.

 

Renzi conosce JP Morgan, la banca che gli ha suggerito il siluramento di Viola AD di MPS.

 

Per queste ed altre ragioni è preferibile votare NO.

 

Comunque Renzi non andrà via, lui non è Cameron, non va nemmeno se lo si spinge con le ruspe.

 

A meno che, chi lo ha messo su e lo sostiene, non decida di mollarlo.

 

A maggior ragione votare No è cosa buona e giusta.

 

 

 

 

 

PENSIONI

Intanto occorre sfatare un convinzione abbastanza diffusa: le pensioni sono una “invenzione” dei socialisti, comunque della “sinistra”.

 

Non è così.

 

Il primo che istituì le pensioni, fu il cancelliere prussiano Otto Von Bismarck, regnante il kaiser Guglielmo.

 

A questi due tutto si può dire tranne di essere di sinistra.

 

La Prussia guglielmina, si stava avviando verso una industrializzazione d’avanguardia, cosa che ha fatto grande la Germania.

 

A quei tempi, siamo nel XIX secolo, la Germania non era come la conosciamo ora.

 

Allora come oggi, cera è c’è la necessità che le classi meno abbienti dovevano avere di che sostenersi.

 

Ciò era ed è funzionale anche a vivacizzare il mercato = consumi = lavoro = guadagno per i capitalisti.

 

Come si evince tutto, poi, ritorna.

 

La fette maggiore, anche delle tasse, è matematico, avvantaggia coloro che più guadagnano!

 

Questa rete “protettiva” e comune in tutta Europa, anche se in modi diversi.

 

Normalmente la conosciamo sotto la voce Welfare.

 

Ed è appunto questa voce che ha permesso, all’Europa, di affrontare la crisi, le, in maniera meno drammatica, rispetto agli USA.

 

Ovviamente il sistema, pensionistico, nel tempo si è evoluto, anche in base alle risorse prodotte.

 

Un dato costante è che le pensioni sono, di fatto, una forma assicurativa.

 

Non è un caso che viene chiamata previdenza.

 

In Italia l’assicurazione è l’INPS, acronimo di: Istituto Nazionale Previdenza Sociale.

 

Il “premio” assicurativo è versato all’INPS dai lavoratori e dai datori di lavoro, che ovviamente gli conteggia come salario non erogato direttamente.

 

Quindi il versamento totale è più tosto cospicuo e va nel fondo pensioni.

 

Negli anni 50 e 60 il fondo era talmente cospicuo che fu usato a fini assistenziali.

 

Furono erogate pensioni perfino ai coltivatori diretti, attingendo al fondo pensioni.

 

Attenzione non si vuole fare la guerra tra “poveri”, ma l’assistenza va fatta con la fiscalità generale, non con i fondi pensioni.

 

Ciò vale soprattutto per le così dette pensioni minime di fatto sussidio a chi non ha diritto alla pensione.

 

Siccome a pagare è sempre l’INPS, la non chiarezza regna sovrana.

 

Infatti tutte le volte che si mette mano (manomettere) le pensioni; tutti proclamano solennemente, che bisogna separare l’assistenza dalla previdenza.

 

Fino alla prossima volta.

 

In Italia la riforma più “organica” e quella conosciuta come riforma Dini.

 

In sintesi: istituzione del sistema contributivo con abbandono graduale del sistema retributivo.

 

Venne anche istituita la pensione integrativa per compensare la riduzione dell’assegno.

 

Un po’ tutti i governi anno messo mani alle pensioni, con modifiche più o meno sostanziose.

 

Fino alla così detta legge Fornero che ha allungato, a dismisura, l’età pensionabile, fino ad arrivare al paradosso che in Italia si va in pensione più tardi che in Germania.

 

C’è da dire, a detta di tutte le persone sagge, che quando si mette mano alle pensioni, occorre avere una visione almeno trentennale, per valutare eventuali conseguenze.

 

Altrimenti ci si trova di fronte ai così detti esodati: senza lavoro e senza pensione.

 

Poi ci si trova di fronte a dei veri improvvisatori che propongono una medicina peggiore del male.

 

Cioè andare in pensione anticipata chiedendo il mutuo alle banche.

 

Si è visto di tutto, ma questa mai!

 

Questa proposta ha una sottile insidia: lo stato non si interessa più delle pensioni.

 

Nessuno dice che uno dei buchi più consistenti dell’INPS è dovuto al fatto che gli enti locali non versano i contributi dei loro dipendenti e molti crediti sono, ormai, prescritti.

 

Quindi lo stato non solo non si interessa delle pensioni, ma addirittura è evasore contributivo.

 

Ci si domanda con quale autorità morale chiede agli altri il pagamento del dovuto.

 

La verità, che nessuno vuole vedere, è che c’è un sistematico attacco allo stato sociale, che viene dal lontano.

 

Pianificato e programmato dal “nucleo cesareo del potere”.

 

Questi decisori, a fronte delle lotte, che chiedevano nuovi diritti, decisero che il Welfare State, aveva generato “nuove” richieste consolidandoli come diritto.

 

Questo, per loro, non era accettabile, cosi cominciarono la lunga marcia, per smantellare, alla radice, il Welfare e chi ne fu l’artefice: il compromesso socialdemocratico.

 

Le “riforme” di Renzi vanno in questa direzione.

Nota: le riforme Dini/Fornero, portano il loro nome, in quanto ministri del lavoro, ma sono state d

SANITA’

Il problema sanitario, meglio, la cura delle persone, si è posto fin dall’alba dei tempi.

 

A parte i sacerdoti, che si ispiravano al “cielo” e che definivano la malattia un castigo di dio, quegli più vicini agli odierni medici erano i maghi e gli stregoni.

 

Il mago “curava” le malattie interne, quindi invisibili, con danze, preghiere ed altro, quasi sempre inutili.

 

Lo stregone curava i mali visibili, fratture, morsi di animali, bruciature ed altro, con rimedi naturali erbe ed altri prodotti naturali.

 

Lo stregone era tenuto in considerazione dalla società, che di fatto lo “manteneva”.

 

Oggi diremmo che era a carico della fiscalità generale.

 

Fino al XVIII e XIX secolo la medicina era piuttosto, ancora, ampiamente empirica.

 

Bisogna aspettare l’inizio del XX secolo per avere la medicina scientifica.

 

Comunque la cura non era per tutti.

 

Durante l’800, per esempio, gli ospedali non erano come gli conosciamo oggi.

 

Erano quasi un ricovero per i poveri ed erano cosi-dette opere pie, cioè la carità come istituzione.

 

Infatti gli ospedali erano gestiti dai ricchi o dal clero.

 

Questo sulla scia delle signorie, Firenze, Siena Milano Bologna ed altre grandi citta.

 

Spesso veniva eretti da grandi architetti, quasi dei monumenti per il signore di turno.

 

Sostanzialmente si è arrivati, con tale tipo di gestione fino agli anni sessanta, attraverso delle forme para-assicurative: le mutue.

 

Che dispensavano tanti sciroppi e poca prevenzione.

 

Con il progresso sociale e le lotte si è arrivati alla istituzione del servizio sanitario nazionale, per una sanità di tipo universale.

 

Molti non ricordano che i “distretti” si chiamarono USSL = Unità Socio Sanitaria Locale.

 

Poiché nell’intendo del legislatore la cura sanitaria non poteva essere disgiunta dalla situazione sociale.

 

La controriforma ha cominciato ad eliminare la socialità, per finire ad oggi ASL = Azienda Sanitaria Locale.

 

E’ vero che l’italiano è una lingua molto ampia ed elastica, ma le parole hanno un senso: Azienda vuol dire che entrate/uscite devono essere in pareggio.

 

Domanda: la cura di una persona può essere un affare?

 

Pare di sì.

 

Infatti si è “aperto” ai privati, dandogli la polpa, lasciando le ossa al pubblico.

 

Oggi la sanità subisce un nuovo sottile attacco.

 

La gestione regionale non ha sortito i risultati sperati, anzi la sanità è diventata zona di scorribande di politici ed avventurieri senza scrupoli.

 

Basti guardare la Lombardia.

 

Nell’eccellenza sanitaria figura, al primo posto il Veneto.

 

Però con un punteggio che va da 0 a 1 fi ferma a 0,63: appena la sufficienza.

 

Ora ciò non vuol dire che vi sia la necessità di razionalizzare e/o ridurre dei costi, possibilmente senza aggravanti per i pazienti.

 

Altrimenti, come già sta già avvenendo, si torna all’antico: si cura solo che ha i soldi.

 

In alcune regioni, in particolare quelle del sud, tra l’11% ed il 15% rinuncia alle cure, per ticket costosi.

 

Nelle altre regioni il fenomeno è più limitato ma esiste.

 

Francamente dopo la miriade di scandali, fatture gonfiate dei privati e mazzette, è giusto indignarsi per un ulteriore riduzione dell’assistenza stessa.

 

Non basta che il ministro della sanità, Beatrice Lorenzin, dice che se vince il sì al referendum, tutti staremo meglio.

 

 

BREXIT 1

                                                B R E X I T     1

Il significato do Brexit è l’unione di due parole inglesi: Britain + exit (Britain = Regno Unito e exit = uscita).

Il termine è stato costruito dalla stampa e fa il paio con Grexit.

Il 23 giugno 2016 i cittadini britannici hanno votato un referendum con cui si chiedeva di votare di uscire o rimanere nell’Unione Europea.

Ha vinto l’exit.

Questo referendum è nato male ed è finito peggio!

E’ stato voluto dall’ex Premier David Cameron, per “regolare” i conti – posizioni diverse- all’interno dei Tory (partito conservatore).

Finito male poiché Cameron era convinto di poter stravincere il referendum. Forte dell’appoggio della finanza, dell’industria e di tutto il parlamento. Tant’è che molti dicevano che anche a fronte di una vittoria dell’exit, il Parlamento non avrebbe mai “approvato” tale responso.

Dopo la vittoria dell’exit, tutti si son dovuti ricredere: Cameron si è dimesso, giustamente, -dimissioni vocabolo sconosciuto in Italia.

Ma a fronte del responso referendario si può affermare che il re è nudo!

Nudo in quanto la classe “dirigente”, non solo i politici, non era in sintonia con i cittadini. E questo è esiziale.

Ciò dovrebbe far riflettere, dato che da un po’ di tempo i cittadini votano “contro” i promotori dei referendum sparti-acque, es: Scozia, Brexit e Ungheria.

Ora non ci resta che affrontare le conseguenze del risultato, cioè l’uscita della Gran Bretagna dalla Unione Europea, attraverso il trattato che prevede le procedure finalizzate, appunto all’uscita.

Ovviamente le opinioni sono differenti e a volte anche contrastanti, quasi inconciliabili.

Ma non vi è dubbio che l’Unione Europea, pur con tutte, tante, contradizioni costituisce un potente fattore economico.

Tutti i paesi che ne fanno parte, ne’ hanno hanno beneficiato, chi un po’ di più e chi un po’ di meno, ma ne complesso è stato un bene in se’.

Certamente i problemi più evidenti e deleteri sono gli aspetti “burocratici” che non fanno che allontanare i cittadini e raffreddano “l appartenenza” all’Unione.

Questo è dovuto al fatto che non esiste una vera e propria Unione, ma è rimasta un’assieme di Paesi e la commissione non ha nessun potere, tranne quello di attuare quanto decidono i capi di stato.

Inoltre qualsiasi decisione non può che essere presa all’unanimità, quindi ogni stato può mettere il veto se una decisione che non gli aggrada, cosa che la Gran Bretagna ha fatto molte volte.

Questo non ha fatto altro che alimentare i piccoli interessi di bottega, segnatamente i paesi est Europa di recente aggregazione, che hanno fruito in modo più che proporzionale degli “aiuti” dell’UE.

Però, anche con questo quadro non confortante, l’U E, rappresenta un formidabile blocco economico, con una platea di 500 milioni di cittadini/consumatori.

Questo fa sì che gli altri Paesi cercano di fare trattati commerciali, compresi i colossi come USA e Cina.

A fronte dell’uscita della Gran Bretagna, questa, oggettivamente, si troverebbe svantaggiata sia per il commercio, export di merci da e per l’Europa ma soprattutto per la finanza.

La City di Londra è il mercato finanziario più importante d’Europa. Ma lo sarà anche con la brexit?

Pare proprio di no.

Anche HSBC, la più grande banca inglese, dice che dislocherà circa un migliaio di dipendenti fuori della madre patria.

Goldman Sachs prevede un abbassamento del Pil dovuto ad una restrizione delle esportazioni verso l’UE.

Ovviamente delle ripercussioni ci saranno anche se in varia misura anche per gli altri membri UE e qualcuno cercherà di approfittare di questa situazione per diventare la piazza finanziaria; l’Irlanda e la Francia non fanno mistero di tale aspirazione, segnatamente la Francia, che sogna Parigi come la nuova City finanziaria.

Sia la Gran Bretagna che l’UE, in particolare la Germania, cercheranno di effettuare una uscita meno traumatica possibile.

L’Inghilterra cercherà di avere il massimo dei benefici ed il minimo degli effetti negativi.

Ma certamente su un punto l’UE non potrà transigere, la libera circolazione delle merci, non può essere disgiunta dalla libera circolazione dei lavoratori.

Così è avvenuto con la Norvegia e con la Svizzera. Altrimenti si innesca l’effetto domino.

Un’ultima noterella, per quegli inglesi che dicono che danno più di quanto ricevono; Il 25% del bilancio UE per la ricerca è a favore della Gran Bretagna; ciò significa circa 3000 ricercatori che potrebbe perdere.

In conclusione si può affermare che sparare sul pianista, l’UE, come fanno molti, compreso Renzi, non risolve i problemi ma serve soltanto ad individuare il nemico, allontanando il “momento della verità”.

ECONOMIA REALE

Sistema produttivo reale

Sull’industria si abbatte il macigno della deflazione.

Indicativo che: il 20% delle imprese genera l’82% del valore aggiunto; restante esposte all’erosione sia dei margini che dei profitti.

 

Ci si trova di fronte ad una spaccatura profonda, che rischia di diventare un elemento strutturale del nostro sistema produttivo.

 

Siamo di fronte ad aziende (poche) che riescono a stare dietro la “globalizzazione” ed altre aziende (molte) restano “spiaggiate” sulla battigia del mercato interno (inerte, fermo).

 

Queste molte rischiano di essere strangolate dagli effetti paralizzanti della deflazione.

 

Tale situazione si perpetua, anche se in modo non macroscopico, da qualche anno.

 

Infatti, nel 2011, inizio della recessione, il 20% delle imprese generava l’80% del valore aggiunto; oggi il 20,8% genera l’82,1%. Come si può notare non passi da gigante, ma quasi una costante.

 

C’è da notare che le imprese esportatrici sono mediamente più grandi (media 9,5 addetti contro i 2delle domestiche), sempre mediamente sono oltre il doppio più produttive ed appartengono a “gruppi” di imprese, nella misura del 22% a fronte del 3,5%.

 

Giova ricordare che tale situazione viene da lontano, chi non ricorda quando i più avveduti denunciavano la fragilità delle piccole imprese gli scellerati dicevano piccolo è bello, danzando sul Titanic.

 

Ma come recita un vecchio adagio, prima o poi i nodi vengono al pettine!

 

Ancora oggi si fa fatica a “vedere” questa situazione che ha polarizzato talenti e risorse, come naturale, verso tali imprese che hanno mantenuto l’equilibrio della bilancia commerciale ed ha consentito al nostro “piccolo mondo antico” con l’export (che ne dice Boccia e Confindustria).

 

In questo paese, ove spesa e debito pubblico continuano a correre, le corporazioni arroccate e le liberalizzazioni buone solo per gli altri l’evasione fiscale delle persone “perbene” e la criminalità organizzata che, ormai, sembra l’unica cosa organizzata.

 

Tutta questa “massa” è tenuta in piedi da una minoranza della minoranza, di imprese, che esporta: tra questa solo il 2% esporta il 50% del fatturato e che soltanto l’1% ottiene oltre il 75% dei ricavi, dall’estero.

 

Il procedere dei divari, che sembra costituire il motivo conduttore dell’economia italiana ha un altro lato nella localizzazione della stessa. Con una centralità negli agglomerati urbani, archiviando un altro totem italiano: i distretti.

 

Le imprese dislocate negli agglomerati urbani, sono avvantaggiate, in termini di produttività, de 7,7% nel manifatturiero e addirittura del 15,6 nei servizi.

 

Il vantaggio delle aree urbane deriva dalle dimensioni dell’impresa, più grande maggiore produttività, più alto grado di istruzione, più alta intensità di conoscenze. Ciò dimostra, se ancora fosse necessario, che solo fare andare le mani non è di per se sufficiente.

 

C’è da aggiungere che tale dato di fatto, porta con se anche una polarizzazione anche del credito, che ovviamente tende a collocarsi dove “il cavallo beve”, come dicevano gli economisti.

 

Ciò rischia di accentuare una situazione già critica.