R E F E R E N D U M

REFERENDUM
Il 22 ottobre la Lombardia ed il Veneto sono chiamate alle urne per esprimere il parere su una maggiore autonomia regionale.
Tali referendum sono stati indetti dalle rispettive amministrazioni regionali.
I presidenti sono tutti e due della lega e guidano una giunta di destra.
Sia Maroni, Lombardia, che Zaia, Veneto sono entrambi ex ministri.
Zaia è stato ministro dell’agricoltura.
Maroni è stato inquilino del Viminale, sede del ministero degli interni; ministero di grande peso politico.
I due sono stati ministri con Berlusconi, presidente del consiglio.
Governi che con lo slogan “non mettere le mani nelle tasche degli italiani”, cioè non aumentare le tasse, tagliava i trasferimenti a regioni ed enti locali.
Quindi “costringeva” loro di mettere le mani in tasca ai cittadini = aumento delle tasse
Indicativo le addizionali Irpef, il centro non lo aumentava e diceva agli enti locali: volete più soldi? Aumentate l’Irpef.
Non sembra una posizione di rendere autonomia alle regioni!
Non risulta gesti clamorosi, da parte del loro partito (Maroni e Zaia) per bloccare quella deriva.
Visto che si chiede più autonomia e no la secessione, maggiore autonomia si può raggiungere con un confronto con il governo centrale.
Cosa che deve essere fatta anche all’indomani del referendum.
Se così è, ed è, il referendum è solo uno strumento politico e non ha nessun valore giuridico.
Si noti bene, senza assegnare punti a nessuno, la legge che ha portato dell’autonomia vera alle regioni, è stata la modifica del titolo quinto della Costituzione.
E la attuata un governo di centro sinistra.
Si può obiettare tutto su tempi, modalità ed altro, ma resta comunque una delega data alle regioni.
Una valutazione sulla gestione autonoma non ha dato grandi risultati, anzi.
In questi tempi di “magra” ove bisogna contenere i costi, ha detta di molti, dicono che i veri centri di costo, fuori norma sono proprio le regioni.
Questi giudizi sono corroborati da scandali e scandaletti che hanno coinvolto un po’ tutte le regioni e di qualsiasi colore.
Nella sanita’ che fa capo esclusivo alle regioni, si sono verificati i maggiori scandali.
Pare anche ovvio poiché la voce sanità vale il 70% dei bilanci regionali.
In Lombardia sono stati coinvolti il presidente Formigoni, il vice di Maroni assessore alla sanità, si è dimesso.
L’ex senatore Rizzi, da Besozzo, del partito del presidente e factotum per la sanità, dato che la delega la avocata Maroni.
Sono indagati tutti per “ mazzette ” dalla sanità “privata”. Privata solo negli utili!
Ciò denota una linea che va nella direzione di un “contenimento” della sanità pubblica a vantaggio del privato.
Nulla contro il privato, ma non a spese dello stato, cioè dei contribuenti, per chi paga le tasse.
Non va meglio per le strade:
la Pedemontana, sponsorizzata, dalla lega è sull’orlo del fallimento; anche la così detta Bre-Be-Mi ( Brescia-Bergamo-Milano), privata ma regione deve intervenire per colmare mancati introiti.
Certo il governo centrale continua a creare problemi, esempio la così detta abolizione della province. L’unica cosa che hanno abolito sono l’elezione amministrative provinciali.
Le comunità montane, queste sconosciute, nessuno sa a cosa servono e di cosa si occupano.
Sono solo centro di spesa e per la sistemazione di qualche trombato di turno.
Il governo non ha avuto il coraggio di cancellarle, demandato il compito alle regioni, che ne hanno solo accorpate un po’.
Questo è solo un campione, non esaustivo, delle inadempienze regionali.
Un cittadino avulso dai giochi politichesi, si domanda: a cosa serve la maggiore autonomia, se questo è il risultato?
Se bisogna rifare la copia, più piccola dello stato centrale, che centra con l’autonomia?
Solo a moltiplicare i centri di spesa.
Basta ricordare un solo fatto: ogni regione ha costituito ambasciate regionali.
Pazzesco!
Quanto detto dalla Meloni, di Fratelli d’Italia, alleati in regione, potrà non piacere a Maroni, ma corrisponde al vero.
La stessa sostiene che è un referendum inservibile ed fatto solo a fini propagantistici.
Secondo Roberto Maroni e Luca Zaia, il referendum serve ad aprire un confronto con il governo per una maggiore autonomia.
I nostri dimenticano di dire che: l’articolo 116 della Costituzione, non impone il referendum per aprire un confronto tra regione e governo centrale.
Dimenticano di dire, ai cittadini della Lombardia e del Veneto, che la materia fiscale, non è materia che possa essere sottoposta a referendum.
Pertanto, ha ragione la Meloni.
E’ solo propaganda del partito della lega, a spese di tutti i cittadini.

E V A S I O N E F I S C A L E

EVASIONE FISCALE
Alcuni giorni orsono, il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Maria Elena Boschi, ha annunciato, trionfalmente, che la lotta all’evasione fiscale di questo governo, in continuità con il precedente, Renzi, ha dato i sui frutti.
Quindi la somma recuperata era di 20 miliardi di euro.
La Boschi ci ha abituato a proclami clamorosi, senza mai un minimo di riscontro.
Peccato!
Le cifre, relative alla riscossione/evasione fiscale smentiscono, ancora una volta, i cantori della bontà di questo governo, in continuità con il precedente, di cui lei era ministro delle riforme.
L’evasione ha raggiunto cifra record di 111 miliardi di euro.
La capacità di recupero, del nostro sistema fiscale, è del 1,13 %, contro una media dei Paesi Ocse, che è del 17,1 %, sedici punti in meno.
L’ammontare, complessivo, dell’evasione è:
– 2012 = 107,6 miliardi,
– 2013 = 109,7 “ ,
– 2014 = 111,7 “ .
Per il 2015, il ministro sostiene che vi è un calo, dell’ammontare, di 3,9 mld ,
quindi se tutto va bene l’evasione dovrebbe attestarsi a 107,8 mld/€.
Come vede, signor sottosegretario, siamo molto lontani dai sui 20!!!
Alcune specifiche:

l’Irpef da lavoro irregolare, nel 2014 valeva 5,1 miliardi.
Si stima che il 55,9% di evasione che è pari a 30 miliardi e 736 milioni.

Iva: non va meglio.
L’Italia ha il record di evasione di questo tributo, relativamente all’UE.
La differenza tra il dovuto ed il pagato è pari al 30% (29,7%) e sono 40.1 miliardi.
5 anni fa la cifra era di 37,4 mld e non è attribuibile solo alla crisi; l’evasione è 1/4 del totale UE cioè il 25%, la Francia vale il 15,3% e la Spagna il 3,9%.
Se a quanto sopra, si aggiungono i “buchi” per mancato reddito d’impresa, Irap e contributi previdenziali, fa la bella cifra di 111,7 miliardi di evasione.
Il fatto è che il sistema di riscossione fa acqua da tutte le parti.
Intanto per il solo adempimento degli obblighi fiscali, in Italia occorrono 269 ore/anno, contro una media europea di 173 ore/anno.
Questo fa il paio con la riscossione, meglio la non.
Nel 2016 vi erano 21 milioni di pendenze con il fisco, di cui il 54 % non superava i 1.000 € di contenzioso.
Con delle regole strampalate (apparentemente) che di fatto inducono alla infedeltà fiscale: gli interessi sono del 4,50 % per chi rateizza e del 3,5 % per gli evasori!
Questo perché gli interessi sono fissati da due Leggi diverse che nessuno si sogna di porvi rimedio.
Nel periodo 2000/2016, gli enti creditori affidarono ad Equi-Italia la corposa cifra di 1.135 miliardi da recuperare.
Cifra pari alla metà del debito pubblico italiano, ragguardevole!
Ebbene, di tale cifra, una quota è stata cancellata dagli stessi creditori, una quota , minima, recuperata e c’è un residuo di 817 miliardi.
Degli 817 mld
– 174,4 falliti
– 85 morti
– 95 presunti nulla tenenti
– 348 posizioni tentato invano il recupero
– 26,2 rateizzate
– 32,7 non suscettibili di recupero in quanto a norme favorevoli evasori.
Va detto che l’amministrazione nei ricorsi tributari è soccombente per il 62 % dei casi al terzo giudizio, quindi in via definitiva.
La cifra aggredibile è di 51,9 mld, ma la stima, del recuperabile è di 29 miliardi, pari al 3,5%.
Quindi i 20 miliardi decantati dalla Boschi non ci sono.
A meno che non li fanno tirar fuori dai banchieri fallaci tipo Etruria.
Oltre l’inefficienza della macchina amministrativa, si aggiunge un “segnale” politico.
Gli accertamenti:
nel 2016 sono il 33,8 % in meno, da 301.996 a 199.990
introiti meno il 17,2 % da 7,4 a 6,1 miliardi.
E’ evidente che non si tratta solo di una messa a punto della macchina burocratica, ma bensì dare una svolta politica, cha sempre “aiutato” gli evasori anche con i condoni.
Condoni che vengono da lontano:
il primo risale all’anno 118 dopo Cristo, fatto dall’imperatore Adriano, di origine Iberiche; che condono 16 milioni di sesterzi, non pagati negli anni.
Dall’unità ad oggi, in Italia i condoni sono la bellezza di 80, a vario titolo.
Anche la rottamazione delle cartelle è configurabile come condono.
Che le imposte, in Italia, sono alte è un dato di fatto!
Una media impresa ha un carico fiscale del 64,8 %, 25 punti in più della media europea.
Il cuneo fiscale è del 49 % , 10 punti in più della media UE che è del 39%.
I signori del governo dicono che la media statistica della pressione fiscale è attorno al 43%, inferiore a: Danimarca, Francia, Belgio, Finlandia ed Austria.
Ma c’è una differenza sostanziale tra noi e gli altri: la platea dei contribuenti è inferiore.
In un Paese, Italia, con una evasione prossima a 1.135 mld, cioè il 50% del debito pubblico; non si possono giustificare gli evasori, ne’ tanto meno chi gli giustifica.
Voluntary disclosur:
dietro queste due parole inglesi, apparentemente innocenti, si nasconde una bella fetta di evasione.

 

 

V A C C I N I

V A C C I N I
Le vaccinazioni, probabilmente, sono state la più grande scoperta medica degli ultimi tre secoli. Quindi è difficile contestarne la loro efficacia e necessità che ha sconfitto alcune malattie.
Sarebbe corretto discuterne con rispetto reciproco e con un approccio meno “ideologico”.
Purtroppo ci si divide in una disputa arida come tra guelfi e ghibellini, quindi il muro contro muro.
Non va dimenticato che negli ultimi 10 anni sono stati riconosciuti 650 indennizzi per effetti collaterali da vaccinazioni.
Premesso che ogni singolo caso è un dramma, per l’interessato in particolare, dal punto di vista statistico non si giustifica il ripensamento sulla bontà delle vaccinazioni.
Quindi un legislatore accorto e rispettoso dei diritti, anche individuali, si muove in direzione di favorire la ricerca scientifica per migliorare sia la sicurezza che i protocolli gestionali.
Procedure e chiarimenti efficaci che molto spesso le case farmaceutiche non mettono in atto.
E’ necessario informare, in modo esaustivo, i genitori, per fugare le paure e superarle con il raziocinio.
Per avere una copertura di garanzia, l’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità) evidenzia una copertura del 95%, della popolazione, per una copertura ottimale.
In Italia si è scelta la strada dell’obbligo per Legge.
Non si prova a persuadere e rassicurare, gli indecisi, ma si ordina.
In Europa siamo in compagnia, in parte, con la Francia e con i paesi dell’ex blocco sovietico.
In Germania le famiglie sono invitate a colloqui per cercare, attraverso il ragionamento, di superare le resistenze alla vaccinazione.
Sono previste multe di 2500 € soltanto se disertano l’invito all’incontro con le strutture sanitarie e no se alla fine dicono di no.
L’Agenzia di Prevenzione e Controllo, con sede a Stoccolma-Svezia- monitora le malattie infettive per conto dell’UE, su 31 Paesi sorvegliati, 28 UE + Liechtenstein, Norvegia e Islanda.
Di questi 20 non prevedono alcuna vaccinazione obbligatoria, 11 ne hanno almeno una. La Francia ne ha tre, obbligatorie, ma sotto la presidenza di Macron/Bonaparte, vuole raggiungere l’Italia che ne prevede 11.
Oltre la Francia, l’Italia è in compagnia di: Polonia, Bulgaria, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lettonia, Grecia, Slovenia e Croazia.
Buona parte di questi paesi hanno il retaggio del collettivismo, ed al consenso informato preferiscono l’obbligo.
C’è da dire che alcune diffidenze derivano da una parte dovuta al miglioramento della medicina e dalla sconfitta di alcune malattie.
Ci sono state anche dei falsi commessi da medici.
Andrew Wakefield nel 1998 pubblica su una rivista specializzata – Lancet- uno “studio” che metteva in nesso tra un vaccino e l’autismo.
Ovviamente questo ha aumentato gli scettici del vaccino, supportato da una ricerca medica.
Negli anni successivi la comunità scientifica ha smentito tale ricerca ed ha radiato, dall’Ordine, Wakefield. Ma il danno era fatto.
A fronte di ciò, In Svezia hanno intensificato l’informazione e la copertura è del 99%, senza obbligo.
Anche la Germania ha scelto la strada dell’informazione, ritenendo la coercizione non un buon mezzo.
In Austria l’obbligo è anticostituzionale.
In Italia i no vax (contro vaccinazioni) sono pochi ma molto rumorosi e qualche volta amplificati dai media, magari involontariamente.
La sanità pubblica non ha saputo rispondere con una sufficiente comunicazione, che è molto più efficace dell’obbligo, che è solo una stampella di breve termine.
Per risolvere il problema è necessaria una azione di lungo periodo.
Prevedendo colloqui, con le famiglie restie, ed una divulgazione mirata.
Gli spot televisivi sono soltanto risorse buttate dalla finestra, l’unico beneficio è dell’editore.
Oltre al materiale informativo, occorre investire sul personale sanitario.
Sono cose che costano!
Nel budget ASL le sedute vaccinali, hanno una durata di 10/15 minuti, tempo sufficiente per una brevissima anamnesi e l’iniezione.
A fronte di dubbiosi e scettici occorre almeno mezzora di tempo, e per un intervento efficace minimo un’ora.
Sono interventi complessi ma con efficacia comprovata.
Ovviamente è una procedura costosa sia in termini di denaro che organizzativa.
Saremo un martello su questo argomento, cinguettava Beatrice Lorenzin, ministro della sanità, il 12/03/2015.
Sempre la Lorenzin, il 13/11/2016, nel nuovo piano vaccini, diceva, puntiamo a fare moltissima informazione a famiglie ed operatori.
Il piano 2017-2019, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 18/02, recita: il comitato nazionale di bioetica raccomanda campagne di promozione ed informazione per rendere edotti i cittadini sia sulle strategie che sui rischi possibili.
Se ne dovrebbe dedurre che il ministro, prima dell’obbligo, promuova una grande campagna informativa.
Sbagliato!
Il decreto del 5 agosto recita:
a decorrere dal 1 luglio 2017 il ministro della salute promuove iniziative di comunicazione e informazione istituzionale, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Si diceva, una volta, non si possono fare i matrimoni con i fichi secchi.
Adesso non ci sono più nemmeno quegli, visto i tagli previsti alla spesa sanitaria.
Si ha la sensazione che anziché affrontare i problemi, si fa un bel decreto di obbligo e tutto il resto si annulla così si è al riparo da qualsiasi cosa possa succedere.
Grande scelta, soprattutto coraggiosa.

 

 

A U T O S T R A D E

A U T O S T R A D E
Nel 1999 i Benetton acquisirono il 60% delle rete autostradale a pedaggio.
Cioè acquistarono la società Autostrade Spa, azienda IRI, che aveva costruito il sistema autostradale in Italia.
Esemplare fu la costruzione di Autostrada del sole, la n° 1, per lo stradario.
Certamente, per i tempi ed i modi di costruzione, è una opera valida ancora oggi.
Con il pagamento del pedaggio, Autostrade Spa, ebbe risorse per sviluppare, ulteriormente, la rete autostradale.
Così da autofinanziarsi e non costare all’erario.
Anzi, avendo pagato anche gli ammortamenti, era una società, non solo in equilibrio, ma addirittura di produrre profitto.
Ma in quel periodo c’era bisogno di fare cassa e fu giocoforza che si vendessero i pezzi appetibili.
Fu così che i Benetton comprarono la società, che chiamarono Autostrade per l’Italia.
Va ricordato che fondarono una società a cui riversarono i debiti, contratti per l’acquisto, in modo da “salvare” la altre società, di loro proprietà.
Inoltre ebbero una concessione molto lunga ed un formula di rivalutazione annuale delle tariffe di pedaggio, molto vantaggiosa.
Per il calcolo degli aumenti si tiene conto anche degli investimenti effettuati.
Benetton diffonde il sistema di riscossione automatica del pedaggio con la società Telepass.
Società che gestisce le riscossioni anche per le altre concessionarie.
E’ ovvio che la riscossione automatica, comporta una diminuzione degli addetti ai caselli.
Quindi non era un investimento teso al miglioramento viabilistico, ma serviva e serve solo a far risparmiare, guadagnare, ai gestori.
Se così è, perché dobbiamo pagarlo due volte?
La prima con l’aumento delle tariffe e la seconda con il contratto per la installazione dell’apparecchi, in auto, per la rilevazione dei passaggi.
Per le transazioni, Telepass si appoggia al circuito bancario o delle carte di credito.
Ora è successo che per motivi, (?), Banca Intesa ha rotti i rapporti commerciali con Carta Si.
Di conseguenza tutte le carte sono state sostituite.
Quindi Telepass, scrive ai clienti e gli “invita”, i clienti, a recarsi al punto blu, per consegnare l’apparato rilevatore, pena penale prevista, dato che è in uso all’utente.
A nulla sono valse le telefonate al numero verde, pregandoli di prendere nota del numero della nuova carta di credito.
Niente da fare, Telepass è inflessibile.
Il numero di clienti, incappati in questo fatto, è di circa 5.600, pari al 20% dei casi di disdetta.
La domanda, semplice è:
Telepass, controllata da Atlantia, controllata da Edizioni, posseduta in parti uguali dai 4 Benetton;
non poteva metter in atto una procedura che gestisse tale questione e non creare disguidi ai suoi clienti?
Invece di comportarsi da monopolista arrogante!
Anche perché la gestione delle piste riservate, ai clienti Telepass, costa 67 milioni, contro un incasso di 158 milioni.
Telepass è valutata, nel bilancio Atlantia 1,148 miliardi, sette volte il fatturato.
L’arcano è: la società fattura “solo” 158 milioni ma ha un margine di 91 milioni, pari a quasi li 60%.
Un bel gioiello!
Meglio una gallina dalle uova d’oro.
Qualcuno potrebbe chiedersi perché i 67 milioni, per la gestione delle corsie, visto il risparmio di personale, non viene girato, alla controllante?
Che incassa 3,8 miliardi di incasso da pedaggio ed ha un utile netto pari a 930 milioni?
Meglio vivere di rendita che fare maglioncini!
Ma la causa di fondo, la “colpa “ genetica di questa situazione è originata dal sistema del conteggio per l’adeguamento delle tariffe: oscuro, macchinoso e poco chiaro.
Fatto di conteggi “astrusi” ed intellegibili, del tipo il calcolo per l’aumento dei carburanti.
Ovvio che tali conteggi favoriscono i “gestori” e tutelano poco gli utenti.
Se il controllore, l’Anas, trae un introito maggiore, con l’aumento delle tariffe, è altrettanto ovvio che non ha interesse a calmierarle.
A questo contorto sistema, si aggiungono i “pasticci” combinati dalla politica.
Esemplare il blocco delle tariffe attuate nel 2014 dal ministro Lupi.
Per fare propaganda sostenne che ha fronte della stagnazione, le tariffe non andavano aumentate.
Anziché fare una operazione trasparente, eliminando, dall’aumento, l’inflazione che era ferma.
Sarebbe stato legale, trasparente, inattaccabile.
Lupi “scivolo” sullo scandalo grandi lavori, ed arrivò Del Rio.
Che combinò un ulteriore pasticcio.
Fece un accordo con Benetton, allungando di 4 anni le concessioni, in cambio della costruzione delle autostrade, chiamate “Gronda di Genova”.
Il valore dell’allungamento della concessione vale 15 miliardi di €, 4 volte di più della gronda di Genova.
Idem per Gavio, concessionario di tutte le autostrade del nord-ovest; (TO-MI, TO-SV ed altre).
Benetton e Gavio, sono i maggiori concessionari.
Toto, ex Air-One, concessionario delle autostrade dei parchi ( Roma-Pescara e Roma Teramo), il più piccolo restò a bocca asciutta.
Quindi si può ben dire che Del Rio si comportò da forte, col debole (Toto) e debole con i forti (Benetton e Gavio).
Ma Toto non ci sta ed impugna, il blocco, al Tribunale Amministrativo del Lazio.
Che dà ragione a Toto ed impone di pagare anche gli arretrati!
Inoltre, il Tribunale, ravvede anche un danno erariale, in quanto al mancato aumento che avrebbe comportato un incremento delle entrate .
La sentenza innesca la possibilità che anche gli altri, concessionari, possano far valere il diritto di “recuperare” i mancati aumenti.
Ora, come sempre, pare che a pagare per questo pasticcio, sia solo il dirigente ministeriale titolare della vigilanza sulle concessioni.
La politica, i politici, non pagano mai!
Tanto l’aumento lo paga sempre pantalone!

LEGGE SULLA CONCORRENZA

,LEGGE SULLA CONCORRENZA
Normalmente quando si parla di concorrenza, la memoria individua una situazione in cui ci sono più offerte, di prodotti o prestazioni, di pari opportunità ed il consumatore scegli la più vantaggiosa.
Ebbene la recente approvazione della legge sulla concorrenza, non corrisponde a quanto su detto.
Questa legge giaceva in parlamento da oltre due anni.
E’ stata approvata, in via definitiva, dal senato, con voto di fiducia.
Più che una legge sulla concorrenza, sembra più un cadeau alle lobby e potentati economici.
Anche perché molti temi sono stati rimandati ad apposite deleghe.
Quindi al di là da venire.
Si ha l’impressione che sia passata l’idea del governo ombra, quello di Matteo Renzi, molto sensibile alle richieste dei potentati economici.
Una scorsa, non esaustiva, ai contenuti:
– Energia
Dal 30 giugno 2019 finirà il così detto mercato di maggior tutela, cioè l’elettricità calmierata per le famiglie che non hanno scelto il così detto mercato libero.
Ne sono interessati circa 25 milioni di utenti.
Quindi a far data 1 luglio 2019 le bollette elettriche saranno più care del 15-19%.
Enel ed altri distributori ringraziano.
La parte del leone la fa Enel, già perché oltre l’aumento gli è stato fatto un ulteriore regalo.
Gli utenti passeranno automaticamente al “mercato libero”.
Regalo poiché per acquisire i clienti, si stima un costo di 80 € cadauno, fate il conto per 25 milioni!
– R C auto
E’ stato ripristinato il tacito rinnovo dell’assicurazione, anche qui le compagnie di assicurazione ringraziano.
Non è finita, i finti sconti sono legati alla così detta scatola nera, che è un affare per chi la produce e chi la installa, istallazione a carico del cliente, se decide di toglierla alla scadenza della polizza.
Inoltre si dà mandato al governo per studiare una proposta per renderla obbligatoria.
Che affari! Per loro, ovviamente.

– Telemarketing
viene eliminato il vincolo, per le promozioni telefoniche, che obbligavano ad esplicitare, anticipatamente la promozione di un prodotto.
Addirittura, si vorrebbero mettere anche i numeri di cellulari, negli elenchi di che non vuole essere importunato, telefonicamente con la pubblicità.
Apparentemente sembra una cosa buona, ma così si dà la possibilità di invadere anche i cellulari.

– Notai
Passeranno di uno ogni 7000 abitanti a 1 a 5000.

– Albergatori
Potranno applicare tariffe inferiori a quelle concordate telematicamente
Capirai
Come si evince le ultime cose, sono delle cosette, per gettare fumo negli occhi.
La polpa sta nell’energia e nelle assicurazioni.
Prova ne è che i manager Enel hanno promesso, agli azionisti, una redditività del 20% (aumento delle bollette) ciò è possibile grazie alla” automaticità”, in quanto i clienti Enel non andranno sul mercato libero, ma appunto, resteranno Enel.
Qualche malizioso, mica tanto, sostiene che tale emendamento è stato dettato via mail, direttamente da Enel.

LEGGE SULLA CONCORRENZA

LEGGE SULLA CONCORRENZA
Normalmente quando si parla di concorrenza, la memoria individua una situazione in cui ci sono più offerte, di prodotti o prestazioni, di pari opportunità ed il consumatore scegli la più vantaggiosa.
Ebbene la recente approvazione della legge sulla concorrenza, non corrisponde a quanto su detto.
Questa legge giaceva in parlamento da oltre due anni.
E’ stata approvata, in via definitiva, dal senato, con voto di fiducia.
Più che una legge sulla concorrenza, sembra più un cadeau alle lobby e potentati economici.
Anche perché molti temi sono stati rimandati ad apposite deleghe.
Quindi al di là da venire.
Si ha l’impressione che sia passata l’idea del governo ombra, quello di Matteo Renzi, molto sensibile alle richieste dei potentati economici.
Una scorsa, non esaustiva, ai contenuti:
– Energia
Dal 30 giugno 2019 finirà il così detto mercato di maggior tutela, cioè l’elettricità calmierata per le famiglie che non hanno scelto il così detto mercato libero.
Ne sono interessati circa 25 milioni di utenti.
Quindi a far data 1 luglio 2019 le bollette elettriche saranno più care del 15-19%.
Enel ed altri distributori ringraziano.
La parte del leone la fa Enel, già perché oltre l’aumento gli è stato fatto un ulteriore regalo.
Gli utenti passeranno automaticamente al “mercato libero”.
Regalo poiché per acquisire i clienti, si stima un costo di 80 € cadauno, fate il conto per 25 milioni!
– R C auto
E’ stato ripristinato il tacito rinnovo dell’assicurazione, anche qui le compagnie di assicurazione ringraziano.
Non è finita, i finti sconti sono legati alla così detta scatola nera, che è un affare per chi la produce e chi la installa, istallazione a carico del cliente, se decide di toglierla alla scadenza della polizza.
Inoltre si dà mandato al governo per studiare una proposta per renderla obbligatoria.
Che affari! Per loro, ovviamente.

– Telemarketing
viene eliminato il vincolo, per le promozioni telefoniche, che obbligavano ad esplicitare, anticipatamente la promozione di un prodotto.
Addirittura, si vorrebbero mettere anche i numeri di cellulari, negli elenchi di che non vuole essere importunato, telefonicamente con la pubblicità.
Apparentemente sembra una cosa buona, ma così si dà la possibilità di invadere anche i cellulari.

– Notai
Passeranno di uno ogni 7000 abitanti a 1 a 5000.

– Albergatori
Potranno applicare tariffe inferiori a quelle concordate telematicamente
Capirai
Come si evince le ultime cose sono del cosette per gettare fumo negli occhi.
La polpa sta nell’energia e nelle assicurazioni.
Prova ne è che i manager Enel hanno promesso, agli azionisti, una redditività del 20% (aumento delle bollette) ciò è possibile grazie alla” automaticità”, in quanto i clienti Enel non andranno sul mercato libero, ma appunto, resteranno Enel.
Qualche malizioso, mica tanto, sostiene che tale emendamento è stato dettato via mail, direttamente da Enel.

T E L E K O M

T E L E K O M
Le origini dell’attuale Telekom Italia, possono essere fatte risalire al 1925, in era fascista.
Al quel tempo era in funzione la sola telefonia, gestita da diverse società, che il piano di riorganizzazione le accorpò, suddividendo il territorio nazionale in 5 zone e 5 società:
1 – STIPEL
Società Telefonia Inter-regionale Piemonte e Lombardia
con centro a Torino (restò centro anche dopo le successive fusioni, fino allo
avvento di Tronchetti Provera, che lo spostò a Milano) ;
2 – TIMO
Telefonia Italia Medio
centro a Bologna, comprendeva Emilia Romagna, Marche, Abruzzo e Molise;
3 – TETI
Telefonica Tirreno

4 – TELVE
Telefonica delle Venezie
centro a Venezia, comprendeva Veneto, Trentino e Friuli;
5 – SET
Società Esercizi Telefonici
centro a Napoli, comprendeva Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e isole.
Nel 1964 le 5 società vengono accorpate e nasce la SIP – Società Italiana Per l’esercizio telefonico.
Nello stesso anno, nasce anche la STET, finanziaria telefonica e telecomunicazioni, la società “ operativa” era Tele-spazio, che aveva un impianto nella conca del Fucino, in Abruzzo; che trasmetteva via etere.
STET faceva capo alla conglomerata IRI.
1997 lo Stato esce dalla gestione della Telecom, con una OPV (Offerta Pubblica Vendita) di 26.000 mld/£.
L’azienda aveva 120.000 dipendenti ed un basso indebitamento.
1998 Il nuovo assetto azionario è alquanto instabile e si tenta la strada del “nocciolo duro”, un gruppo di azionisti.
Ma, questi erano talmente minimi, che fu definito il nocciolino!
Si assicurarono il controllo con appena il 6% del capitale, ed al suo interno, il socio più forte era Agnelli, con appena lo 0,6%.
1999 Appaiono i così detti capitani coraggiosi, capeggiati da Roberto Colaninno, ad di Olivetti, con il lancio di Opa (Offerta pubblica acquisto).
L’a.d., Franco Bernabè, tenta di contrastare la scalata, ma l’accordo politico, dà il via libera a Colaninno.
La cessione del controllo, generò una plusvalenza di 1,5 mld/€.
Fu indagato per evasione fiscale per 1,937 mld€, ma si accordò per pagarne solo 156 mln/€, non male , per Colaninno e soci, tra cui Gnutti.
2001 Ha inizio l’era Tronchetti Provera.
Tronchetti con una scatola cinese, Olimpia, di cui detiene il 60%, rileva il pacchetto di controllo, pari al 22% detenuto da Bell di Colaninno, un’altra scatola.
L’operazione avviene fuori mercato, cioè attraverso un accordo “privato” tra i due.
Tra i soci dell’acquirente vi sino: i Benetton, Banca Intesa, Banca Unicredit.
Sotto la gestione Tronchetti, la società fu coinvolta in un oscuro scandalo di intercettazioni il maggior coinvolto fu Tavaroli che proveniva dalla sicurezza della Pirelli, quindi un uomo di Tronchetti.
2006 La società, con la fusione con Tim, porta il debito a 44 mld/€.
Si parla di alienare degli asset al gruppo Sky – Murdoch e Mediaset – Berlusconi.
Circolò anche un documento del governo che prevedeva lo scorporo della rete.
Tutto ciò portò alle dimissioni di Tronchetti Provera.
2007 la quota di Tronchetti, fu rilevata dalla spagnola Telefonica, che per inciso era interessata a Tim Brasil, più che alla gestione industriale.
Ciò comporta la costituzione di una nuova scatola, TELCO, che detiene il 23% delle azioni.
2014 I soci italiani di Telco: Generali, Mediobanca ed Intesa, escono dal patto di conseguenza Telefonica dal 12% al 8%di controllo diretto.
Si parla di pubblic company, si parla….. bla bla bla!
2015 Vincent Bollorè, con i soldi, compra le azioni, non le scatole, la quota di Telefonica e in autunno ha una quota pari al 20%.
Poi con successive acquisti, porta la sua quota al 24,9% delle azioni Telecom.
Viene nominato, quale ad, Flavio Cattaneo, ex Dg Rai ex ad di Terna (rete elettrica).
Cattaneo ha rimesso i conti in ordine, utile(tornato) 1,8 mld, Ebidata 14,2% ed è scaso l’indebitamento ha 25 mld.
Il punto che il valore delle azioni è rimasto pari a 0,80/cadauna.
Cattaneo ha raggiunto in 9 mesi ciò che si faceva in tre anni, inoltre ha destinato gli utili agli investimenti ed alla diminuzione dei debiti.
Forse Bollorè non è contento perché la conseguenza del blocco degli utili, per lui significa 350 mln di mancate cedole (incassi).
Il tratto che ha accomunato tutti gli avvicendamenti, i Telecom, ha visto politici che scalpitano e capitalisti latitanti.
Ora si tratta di capire se gli interessi di Bollorè, siano esclusivamente finanziari oppure industriali.
L’allontanamento di Cattaneo ha una doppia lettura: offrire al governo il suo scalpo ed una punizione per il mancato incasso.
Le autorità dovrebbero accertarsi di ciò, parlando con il diretto interessato, anziché alimentare la voce che l’intervento dell’autority sia dovuto al fatto che Bollorè ha comprato un cospicuo pacchetto di Mediaset.

CONFINDUSTRIA

CONFINDUSTRIA
Ogni anno la Confindustria tiene la sua assemblea che è, oggettivamente, un momento per fare il punto sulla situazione italiana, ovviamente dal punto di vista confindustriale.
La relazione è svolta dal presidente in carica.
L’attuale è il presidente Boccia-to.
E’ indubbio che c’è stata una svolta a 180 gradi, per dirla con un eufemismo.
Si può affermare che al netto delle contumelie sulle cose che non vanno e sulle richieste da fare agli “altri” la cosa clamorosa è stata una presa di distanza dal governo.
E’ stata una analisi impietosa sugli ultimi 20 anni di politica economica e dei sui fallimenti.
Ivi compresi i mille giorni del governo Renzi.
Ciò che ha detto il presidente Boccia è condivisibile, poiché, purtroppo corrisponde alla verità.
E’ indubbio che una posizione così netta fa bene alla politica, che dovrebbe muoversi di più e meglio, fa bene a chi “intralcia” le decisioni, fa bene anche agli industriali per migliorare loro stessi.
Rispetto a certi minuetti, esemplare D’Amato/Berlusconi, facevano a gara a chi aveva copiato la relazione programma.
Quindi venendo meno al ruoli di stimolo nei confronti della “politica”.
Ciò detto, occorreva, almeno un cenno, sulla questione de Il sole 24 ore, giornale della Confindustria.
Una situazione poco edificante, soprattutto per chi vuole assumere il ruolo di fustigatore dei costumi, altrui.
Che dire del dissesto delle banche che vedevano nomi di associati, sedere nei consigli di amministrazione e non hanno sentito il bisogno di chiedere, almeno, scusa ai risparmiatori turlupinati.
Che dire delle fughe di capitali che hanno impoverito il Paese, ove hanno accumulato le ricchezze dileguate.
Che dire di Importanti aziende che, dopo aver, abbondantemente, condizionato la politica economica italiana, hanno salutato andandosene via.
Che dire di fior di imprenditori, che anziché “rischiare”, si rifugiano nella rendita, come gestori di cose fatte dagli altri.
Che dire del comportamento, sotto la sua presidenza, del supporto dato a Renzi in occasione del referendum costituzionale.
E’ una scelta, opinabile, ma legittima.
Ma perché compromettere la credibilità dell’ufficio studi di Confindustria, in cui si affermava che se vinceva il no, si sarebbero abbattute, sull’Italia, le sette piaghe bibliche.
Perché non prendere atto che ormai, in Confindustria, le imprese pubbliche hanno un peso preponderante.
Perché non dire che vi è un certo che di commistione, l’ex presidente Emma Marcegaglia, nominata presidente ENI.
Perché non dire che Ella Signor Presidente è stato “appoggiato” dalle imprese pubbliche e che tale peso è stato determinante, per prevalere sull’altro concorrente, anche se per pochi voti.
Perché fare ancora richiesta di incentivi per le assunzioni, a pioggia, che non hanno sortito gli effetti annunciati sulla occupazione e di fatto si sono trasformate in un incentivo utile solo alle imprese.
Per queste ragioni signor Presidente Boccia-to, non ha convinto.

p.s.
Qualche giorno dopo l’assemblea, a seguito delle pressioni giornalistiche, sul caso 24 ore, si è fatto intervistare da Minoli, di radio 24, di Confindustria, che ha una rubrica su La 7.
Boccia-to, ha sostenuto che sapeva del dissesto del giornale, ma che per salvaguardare l’occupazione ha aspettato.
Ai capito!

ECONOMIA & RICERCA

ECONOMIA & RICERCA
Binomio non scindibile, almeno per una economia d’avanguardia.
Tutte le discussioni, fatte dai politici e non solo, si focalizzano solo sugli ultimi anni.
Partendo dalla esplosione della bolla dei sub-prime, negli Stati Uniti d’America.
Che certamente ha le sue belle responsabilità.
Ma la situazione economica italiana ha radici più profonde.
Occorre andare indietro di una ventina di anni per analizzare le debolezze strutturali della nostra economia, che la crisi finanziaria ne ha moltiplicato gli effetti.
Qualche dato per suffragare questa tesi:
dall’ anno 2000 ad oggi il Pil italiano è rimasto invariato, fermo.
Nello stesso periodo:
Spagna + 27%
Germania + 21%
Francia + 20%.
Il nostro reddito, per abitante, è inchiodato, è pari, all’anno 1998.
Una delle cause, se non la causa, è dovuta alla scarsa ricerca.
Prima la Gelmini e poi Renzi ci hanno raccontato che la quantità di finanziamenti per l’università era pari alla media europea.
All’epoca della Gelmini, il 2009, dati Eurostat, dicevano che la spesa per l’istruzione terziaria, in Italia non raggiungeva lo 0,7 % del Pil, contro una media europea di circa il doppio.
Dal 2010, l’Italia, ha tagliato del 20% il budget del finanziamento universitario.
In Germania la spesa, dal 2005, è aumentata del 60%, da 9 miliardi di € a 14,4 miliardi di € nel 2013.
Sempre in Germania è prosperata la ricerca industriale ormai vicina al 3% del Pil, obiettivo concordato a livello europeo, quindi anche l’Italia dovrebbe tendere a quanto concordato, anche se è da raggiungere nel 2020.
Ma di questo passo e arduo.
Nell’area della Germania, che regge la competitività, si spendono 635dollari/abitante in istruzione terziaria;
area anglo-francese 489 dollari;
area mediterranea 340 dollari;
area orientale 202 dollari.
Ciò significa che nell’area della Germania si investono 162 miliardi dollari/anno per ricerca e sviluppo; il 53% in più dell’area anglo-francese e addirittura il 245% in più dell’area mediterranea.
Questo si traduce in una produzione, per la Germania, di beni e servizi di alta tecnologia ed elevata capacità di innovazione.
Infatti nell’area tedesca si producono 2,4 volte più brevetti dell’area anglo-francese ed, addirittura 5,4 volte in più che nell’area mediterranea.
E’ evidente che all’Italia resta solo la competitività da costo.
Quindi si scaricano sui lavoratori, attraverso taglio salariale e diritti, per fare concorrenza.
Non è un caso che sia circolato una pubblicità ministeriale che per invogliare gli investimenti esteri, citava il costo inferiore del lavoro.
Come la Cina e l’Africa.
E’ chiaro che lo sforzo, per non arretrare ulteriormente, è enorme e solo lo stato è in grado di affrontare tale sfida.
Di conseguenza le poche risorse a disposizione dovrebbero essere finalizzate in quella direzione, per avere effetti duraturi nel tempo e no illudendo i cittadini con le mance elettorali.

730 ONLINE

L’idea di poter effettuare la compilazione del modello 730 per la denuncia dei redditi, per chi ha un solo reddito fisso o al massimo la casa di abitazione, è una buona idea.
Sempre che, funzioni, ovviamente, altrimenti si traduce, come molti annunci degli ultimi tempi, in pura e semplice propaganda.
Una buona idea, che emanciperebbe una platea di contribuenti che appunto, hanno un solo reddito ed al più l’abitazione di proprietà.
Di norma questi hanno solo le spese mediche da detrarre ed è per questa ragione che sarebbe un grande risultato non dover più dipendere dai Caf, che per lo più sono di emanazione sindacale.
Questi, i Caf, sono sovvenzionati, poiché svolgono anche una funzione di filtro, sulle spese detraibili o meno.
E’ vero che le spese mediche, almeno in prospettiva, dovrebbero essere attribuite online, automaticamente, con l’eliminazione della ricetta del medico che dovrebbe trasmetterla direttamente alla farmacia.
Si dovrebbe, poi, superare anche il problema delle fustelle, che diventerebbero elettroniche.
Ma fino al compimento di tutto ciò, gli oltre un milione di modelli online, devono essere ricontrollati.
Ciò significa che un numero consistente di addetti sarà “occupato” a scovare l’eventuale “furbo” o molto meglio chi ha semplicemente sbagliato.
E’ palese che mentre si cura la pagliuzza, non si bada alle travi.
Fuor di metafora: si controlla che al massimo imbroglia o sbaglia qualche manciata di euro, dato che dal 22% si è abbassata al 19% lo sconto detraibile.
Inoltre c’è una franchigia di 125 €, sempre e comunque; mentre prima al superamento di 500.000Lire, la detrazione non aveva franchigia.
Il ministro l’ha chiamata armonizzazione delle detrazioni.
Quanto è buono lei!
Ma tutto ciò potrebbe mascherare una precisa scelta: colpire solo i “piccoli” e non perseguire i grandi evasori.
Indefinitiva lo stato è forte con i deboli e debole con i forti.
Si mormora che la Orlando, sia stata allontanata dalla agenzia delle entrate proprio perché voleva invertire questo trend.
Lo stato mostra addirittura la faccia feroce, sempre con i deboli, ovviamente.
Da oggi nei confronti, dei morosi, diventa possibile la ritenuta alla fonte e persino dei conti bancari.
Con la gioia di comuni e società di gestione crediti, che hanno disseminato, e continuano, di apparecchi “multa-nova”, per fare cassa, la scusa della sicurezza è solo la foglia di fico.
La dimostrazione, la prova provata, è che le amministrazioni iscrivono a bilancio, preventivo, le entrate per multe.
Se invece tenessero fede alle pompose premesse, dovrebbero iscriverle solo a consuntivo.