E’ invece di tutta evidenza che nel momento in cui lavorando meno si produce comunque tutto quello che serve, il problema si riduce unicamente al mantenimento degli equilibri tra le varie economie mondiali.
Chiaramente questo equilibrio è condizione necessaria, ma non sufficiente.
Non è ipotizzabile infatti che nel mantenimento degli assetti, le singole imprese, ma anche il settore pubblico possano sostenere i costi di una riduzione dell’orario di lavoro. Questa operazione, per avere successo deve essere in grado di finanziarsi permanentemente.
Ed anche a questo è possibile fornire una soluzione. Questo finanziamento infatti si otterrebbe dalla somma di vari elementi:
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Infine, anche per gestire il punto precedente, dovrà esserci un finanziamento pubblico, sicuramente limitato nel tempo, che agevoli questa transizione, ma che dovrà necessariamente avere una scadenza.
Ma se questa operazione, opportunamente gestita, potrebbe avere un saldo, tra vantaggi e svantaggi, sicuramente positivo, perché non si sviluppa? Una probabile spiegazione è data dall’uso (e abuso) di quello che nel mondo della finanza è chiamato benchmarking: un processo continuo di misurazione di prodotti, servizi e prassi aziendali, mediante il confronto con i concorrenti più forti.
Metodo che porta inevitabilmente ad adottare comportamenti non prevalentemente in base ad analisi e pareri propri, ma basandosi soprattutto sull’orientamento generale di investitori più potenti. Possiamo definirle economie di imitazione. Grazie a queste il dispendio di energie si può minimizzare ed il risultato non si discosterà da quello medio.
Questa pratica si è propagata in tutti i settori, copiare i prodotti, le idee, i processi è diventata una pratica diffusa e la globalizzazione (di cui si è precedentemente parlato) ha amplificato enormemente le possibilità di praticarla.
Proprio questo sembra dare risposta al quesito.
Il timore di percorrere da soli (e soprattutto per primi) una nuova strada disincentiva. Il rischio di perfezionare un sistema, sostenerne i costi in termini di sperimentazione ed in termini di svantaggio relativo (seppur momentaneo) scoraggia le iniziative in quella direzione.
Ma le evoluzioni geopolitiche degli ultimi decenni offrono nuove prospettive.
L’Unione Europea è ormai una realtà consolidata (nonostante la sua crisi attuale e la crisi della sua moneta), ed uno dei settori in cui questa struttura sovranazionale è stata attiva è proprio il mondo del lavoro, anche se con risultati, non sempre positivi
Un passaggio fondamentale è infatti definito dall’articolo 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, con il quale si stabilisce la libera circolazione, su tutto il territorio europeo, dei lavoratori appartenenti ai vari Stati membri. Questa però è una operazione che rimane all’interno dei propri confini geografici, ma l’Unione Europea rappresenta più di un quarto dell’economica mondiale, e potrebbe permettersi una azione pionieristica nella direzione di una riduzione dell’orario di lavoro.