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da una persona fisica e da un investitore istituzionale estero (questo non conosciuto),
“Abbiamo bisogno di persone brave, non solo di brave persone.” HENRY FORD
Il XIX secolo si caratterizza per i ritmi e la diffusione della crescita, ma anche il secolo successivo, il Novecento, ha dei tratti distintivi: in tutta Europa la generalizzata crescita economica (con l’esclusione del periodo delimitato dalledue guerre mondiali)va di pari passo con il cambiamento strutturale dell’intera economia.
Negli ultimi due secoli il rapporto tra la quota di tempo dedicata all’onere di procurarsi l’occorrente per vivere, che per comodità, definiremo orario di lavoro, ed il totale di tempo a disposizione per sé, ha subito un trend che, pur non avendo avuto un andamento perfettamente lineare, si è via via ridotto, passando dalle 14 ore al giorno (con punte di 17) alle attuali 8.
Negli ultimi due decenni però, almeno nella maggior parte Paesi occidentali, e segnatamente in Italia, si è avuta un’inversione di tendenza: chi entra nel mondo del lavoro in forme sufficientemente stabili tende a dover dedicare più tempo a questo scopo di quanto ne dedicano (o ne hanno dedicato) le generazioni precedenti.
Il principale imputato di questa situazione nuova è ‘la flessibilità’ e quindi tutta la precarizzazione del mondo del lavoro.
E’ probabile che, in futuro, il problema sia essere destinato ad una soluzione, ma l’incognita è la tempistica: si tratta solo di un ‘inciampo’ di (relativa) breve durata e che quindi si ricomporrà nel giro di pochi decenni, oppure siamo di fronte ad un declino di lunga durata?
Un principio che ha un ruolo importante in questo contesto è la coscienza di classe: la contrapposizione che porta alla lotta tra classe sfruttante e classe sfruttata è un elemento determinante per il trend precedentemente descritto.
Quando iniziò la rivoluzione industriale furono subito evidenti gli enormi profitti generati dai lavoratori, ma incassati dagli imprenditori. Nonostante ciò non vi fu nessun riallineamento automatico, il surplus veniva conteso – in maniera non molto diversa da quello che ancora oggi è riscontrabile – tra i lavoratori che lo generavano ed i proprietari degli strumenti che lo permettevano.
Il riconoscimento di un limite temporale al lavoro giornaliero del salariato rappresentò ben presto una delle principali rivendicazioni dei lavoratori e sindacali nel sistema delle fabbriche.
Nonostante le condizioni che oggi definiremmo disumane, le regolamentazioni dell’orario di lavoro tardarono ad affermarsi per via legislativa. Anzi negli ultimi decenni del diciottesimo secolo, si registrò un notevole peggioramento in termini di orario di lavoro, nel senso che questi si allungarono notevolmente rispetto ai decenni precedenti. A seguito di ciò si registrarono le prime iniziative di lotta dei lavoratori finalizzate all’ottenimento di una riduzione dell’orario di lavoro.
Ben presto l’ambiziosa battaglia per le otto ore giornaliere accomunò la classe operaia della gran parte dell’Europa, ma i primi successi furono conseguiti solo dopo la Prima guerra mondiale.
In Italia, con l’avvento delle contestazioni di massa della fine degli anni ’60 (in particolare il cosiddetto Autunno caldo del 1969), si ottenne un graduale raggiungimento delle quaranta ore settimanali.
Nonostante questo trend si sia positivamente sviluppato praticamente in tutto il mondo occidentale, negli ultimi decenni cessa di essere alimentato dalle lotte di classe, e quindi si ferma. [Segue]
I primi due accordi sono, come si dice in sindacalese, “aria fritta”, mentre il terzo, quello siglato in data 2 agosto 2013, centra il problema.
– il 23 settembre 2013 partirà la CIGS (cassa integrazione straordinaria) per crisi e che risulterà “aperta” fino al 30 aprile 2014; neanche un anno!
– ci sarà una apertura “a latere”di licenziamenti (mobilità) per massimo/minimo 120 lavoratori (dipende se la lettura è da parte dei dipendenti o aziendale).
GESTIONE OPERATIVA Husqvarna: scientificamente disastrosa
Le premesse (abbastanza ovvie) di tutti i bilanci richiamano importanti iniziative intraprese:
I costi per la gestione delle scorte (sia per la scelta dei fornitori, sia per i costi di magazzino) sono impressionanti. Come riportato sotto, l’incidenza del costo dei materiali sui ricavi (Valore aggiunto), blocca di fatto qualsiasi politica industriale,rendendo irrilevanti economie, investimenti e costo del personale diretto.
In 4 anni non si è posto alcun rimedio a questi costi.
Il Direttore HR sostiene che il ‘compenso’ 2011 dell’attuale Amministratore Delegato è relativo a soli 6 mesi. Riportiamo l’estratto del bilancio 2011.
E IN COBRA QUANTO GUADAGNA UN DIRIGENTE?
Le confederazioni sindacali tradizionali sono state ormai sconfitte ” senza combattere “.
Prendendo atto di questo abbiamo fondato un modello di sindacato ” alternativo ” con il quale ci proponiamo di ristabilire il suo ruolo originario, attraverso un ” recupero democratico “.
Una riformulazione culturale complessiva e il riconoscimento del lavoratore come protagonista della vita sociale ed economica.
Il nostro simbolo il ” TETRAEDRO ” , con le sue quattro facce, rappresenta e sintetizza i quattro cardini della nostra organizzazione :
AUTONOMIA, LIBERTA’, DIRITTO e FRATELLANZA UNIVERSALE.